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Le vecchie botteghe alabastrine mai dimenticate

Ambienti pittoreschi, patrimonio culturale di un'intera città. Ecco com'erano i laboratori dei mastri alabastrai e cosa rappresentano per Volterra

Le botteghe degli alabastrai erano molto pittoresche: oltre alla caligine dovuta alla “terra bianca”, i cappelli ricavati dalla carta di giornale, le sigarette tenute a bruciare vicino alle tavolette che sporgevano dal banco su cui lavoravano, contenevano di tutto. Sulle pareti erano frequenti i ritratti di leader politici e le pagine storiche di quotidiani di tendenza per ricordare i fatti salienti dell’identità italiana come la nascita della repubblica o l’attentato a Togliatti. Questo sentimento civile veniva affiancato dalle passioni sportive, che ruotavano attorno a campioni come Bartali e Coppi, espressione dei due “partiti” ciclistici degli anni dell’ante e del dopoguerra.

In quei laboratori, si parlava dei più svariati argomenti anche per la presenza di frequentatori esterni che avevano l’abitudine di passare il loro tempo libero con gli artigiani. Poteva essere continuata la discussione iniziata la sera prima in qualche sezione di partito, oppure, potevano essere commentati questioni e fatti legati al dibattito culturale, al cinema e alla musica, vista la passione degli alabastrai per le opere liriche.

Il poeta Antonio Guadagnoli, riferendosi al bar dell’Ussero a Pisa, disse di aver imparato di più “in un’oretta stando là/ che dodici anni all’Università”. Lo stesso può essere affermato a proposito delle botteghe alabastrine. Queste hanno, infatti, rappresentato un luogo fondamentale per l’identità e l’immagine di Volterra. Non solo perché l’economia della città ruotava attorno alla qualità lavorativa e all’estro creativo degli artigiani, ma anche perché si trattava di un ceto sociale che esprimeva i caratteri più consapevoli della realtà popolare.