Cultura

I vasi volterrani voluti da Fellini

Durante la scena al Grand Hotel di Rimini in Amarcord, vengono inquadrate le opere in alabastro commissionate dal regista e realizzate in città

Nell’immaginario collettivo le opere in alabastro affascinano, seducono e, inoltre, impreziosiscono i locali che le espongono. Hanno, però, anche il potere di trasformare poeticamente gli ambienti in luoghi incantati, al punto da essere scelte da registi di fama internazionale. Ma andiamo per ordine.

Federico Fellini ha dato vita a un cinema fiabesco, surreale, dai tratti quasi orientali. Un mondo inspirato alle atmosfere arabe delle Mille e una notte in cui, la sospensione del ritmo naturale degli eventi, la gestualità dei personaggi e il loro incedere a passo di danza contribuiscono a creare una dimensione onirica. Ed è proprio in questo universo metafisico che si racconta Amarcord, film del 1973 ambientato a Rimini.

Nel contesto scenografico dell’opera cinematografica trionfa il bianco, il non colore che raccoglie tutte le sfumature delle diverse tonalità. Durante la sequenza della nevicata su Rimini, il chiarore dei fiocchi sembra sublimare ogni pensiero interiore della Gradisca, una moderna e terrena Cenerentola. E sarà proprio lei la protagonista, sedotta dal principe, nella scena al Grand Hotel di Rimini dove divengono centrali i vasi di alabastro commissionati dal regista romagnolo a Giuseppe Bessi. Le opere volterrane, inquadrate come fossero attori, rendono le sequenze sospese tra sogno e realtà, creando un clima ovattato grazie alla luce diafana che emanano. Elementi che vanificano e riducono la prospettiva e il volume a favore di una rappresentazione fantasmagorica e immaginifica dell’esistenza.