Cultura

D’Annunzio e il ragazzo volterrano

Nel 1909 il poeta italiano, in visita nella città etrusca, regalò 5 lire al giovane abitante che gli aveva dato le indicazioni stradali

Gabriele D'Annunzio

In una soleggiata mattina volterrana dell’estate del 1909, un’auto, di grossa cilindrata color rosso, con a bordo un signore e una signora distinti e dai modi estremamente raffinati, arriva nel quartiere di Sant’Alessandro. L’uomo seduto al posto di guida, con indosso un elegante abito bianco di lino e un panama in testa, si accosta e chiede a un ragazzino, che cammina lungo la strada, come poter raggiungere il centro.

Incuriosito dai particolari viaggiatori, e, soprattutto, attratto dalla vettura, che all’epoca costituiva una vera rarità, il quindicenne, con intraprendenza, si propone di accompagnarli nel luogo desiderato. E, così, il giovane sale sull’auto e compie il tragitto assieme a loro.

Una storia, apparentemente, come molte altre, ma con un protagonista d’eccezione che conferisce al racconto un tocco di magia. Il turista, infatti, è Gabriele D’annunzio.

Arrivati a destinazione e giunti al momento del commiato, il conducente offre una ricompensa al ragazzo e, porgendogli 5 lire, lo ammonisce di conservare quella moneta perché donata dal Vate.

Il consiglio del sommo poeta, però, è subito disatteso. La fame e la possibilità di realizzare un sogno gastronomico a lungo agognato, spingono, con una forza irrefrenabile, il giovane dentro a una macelleria. Uscito dal negozio con un cartoccio pieno di cibo, si precipita verso la sua abitazione colmo di gioia.

Il lieto fine sembrerebbe scontato, ma il pragmatismo e la concretezza realistica interrompono l’entusiasmo. Infatti, rientrato a casa con gli alimenti acquistati, suscita il sospetto della madre che avanza molti dubbi sulla provenienza del denaro. Solo lo stupore e l’indignazione del ragazzo, e forse anche la bramosia negli occhi degli occhi degli altri 4 bambini, alla fine la convincono che non si tratti di un furto.

Questo racconto non è frutto delle leggende o delle fantasie popolari, ma si tratta di un episodio realmente accaduto. L’adolescente si chiamava Quintilio Luti che, come suggerisce il cognome, era il mio bisnonno. La storia, nel corso degli anni, è stata tramandata, di generazione in generazione, come aneddoto familiare. Non solo per la notorietà del generoso donatore, ma anche perché, il caso volle che, un decennio dopo, il mio avo avrebbe rivisto, sempre in automobile, passare il Vate. La grande guerra era, infatti, appena terminata e il poeta pescarese si accingeva a occupare Fiume.