“Poi la mia carne inerte si compose
nel sarcofago sculto d’alabastro
ov’è Circe e il brutal suo beveraggio.”
Gabriele D’Annunzio, nei versi che concludono il sonetto Volterra contenuto nella raccolta Elettra, immagina il proprio riposo eterno dentro l’urna conservata nel Museo Guarnacci. L’opera, che richiama nelle sue formelle uno dei passi più celebri dell’Odissea di Omero, unisce mito, ritualità e sentimento della trascendenza. Caratteristiche che appartengono alla cultura magico esoterica del poeta pescarese e che evocano atmosfere legate a un condottiero dell’antichità che esaltava, accanto alla ragione, l’ardimento eroico e il desiderio di conoscenza. Conservato a Volterra, il reliquario acquista, così, per il poeta, un fascino maggiore. Il ricordo epico si lega, infatti, a una città che racchiude in sé il passato e il senso religioso del futuro.