Cultura

Il conte partigiano

Tra i partigiani volterrani della celebre XXIII Brigata Garibaldi c'era anche un nobile fiorentino. La sua storia nella documentazione dell'epoca

Partigiani in una foto d'epoca

La XXIII Brigata Garibaldi “Guido Boscaglia” fa parte della storia della città di Volterra. Molti studiosi ne hanno analizzato gli aspetti storici e memorialistici, ci sono interviste ai partigiani che ne hanno fatto parte e una lettera, inviata nel 1984 ai compagni, in cui Carlo Cassola rievoca la sua esperienza.

Tra la documentazione, però, ci sono solo pochi cenni sulla presenza di personaggi particolari e aneddoti curiosi. Nella formazione, infatti, militava anche un conte proveniente dal capoluogo toscano: Sandro Contini Bonacossi, nome di battaglia Vipera. Il nobile fiorentino, senza la spocchia aristocratica e l’altezzosità del privilegiato, assolveva, con modestia e disponibilità, ai suoi doveri di partigiano tra i partigiani. Faceva parte del gruppo guastatori, quei combattenti che avevano il compito di far saltare ponti e strade per costringere i nazifascisti a ripiegare su percorsi dove fosse più facile attaccarli.

Aveva deciso di far parte della Brigata perché la sua vita a Firenze era minacciata dagli occupanti tedeschi che erano venuti a conoscenza della sua attività nei ranghi della Resistenza.

Amico di Ferruccio Parri e di Enzo Biagi, era iscritto al Partito d’Azione. Ardimentoso nelle scelte politiche, era creativo e fantasioso nel suo lavoro. Infatti, critico, collezionista d’arte e scrittore, collaborò, dopo la guerra, negli Stati Uniti d’America alla National Gallery of art di Washington. E fu proprio nei pressi della capitale statunitense, che, nel 1975, si uccise impiccandosi.

A distanza di anni le circostanze della sua morte non sono mai state chiarite. Anche su di lui sono circolate leggende e pettegolezzi. Fra queste, è stata avanzata anche l’ipotesi, infondata e denigratoria, che si fosse chiamato Vipera per aver eliminato, nel suo palazzo, gerarchi fascisti e ufficiali tedeschi utilizzando il veleno.

Con certezza, però, sappiamo che l’esperienza consumata assieme ai combattenti volterrani è rimasta nei suoi ricordi e motivo del suo amore per la città.