Cultura

La Badia e la fragilità della vita in D’Annunzio

Nelle parole del Vate, il monastero volterrano diventa motivo di riflessione per soffermarsi a pensare all’abbandono e all’inevitabile fine della vita

La Badia camaldolese

Il senso di precarietà dell’esistenza, l’ineluttabile caducità delle cose e l’inarrestabile scorrere del tempo, sono argomenti ricorrenti nelle opere e negli scritti di Gabriele D’Annunzio. Tematiche, queste, tipiche del Decadentismo e che sono presenti anche nel suo romanzo ambientato a Volterra. E proprio il paesaggio e i monumenti della città etrusca diventano occasione di analisi introspettive e di riflessioni filosofiche.

Nel Forse che sì forse che no, infatti, lo stato di abbandono della Badia Camaldolese e la visione delle Balze sublimano la sensibilità morbosa di Attinia e di Vivaldo. I due protagonisti dell’episodio, osservando il tetto crollato dell’antico monastero e la posizione precaria di Volterra, vengono rapiti da pensieri che implicano la fragilità della condizione umana. Concetti evidenziati dai dialoghi presenti nell’opera:

“Ella si volse a guardare verso la badia scoscesa che disegnava la sua massa di mattone e di panchina sul chiarore di ponente.

- Il tetto è scoperchiato.

Egli vide veramente scoperchiato il suo tetto, egli considerò veramente la spoliazione inevitabile, l'abbandono di tutte le cose che gli facevano bella e molle la vita; e non guardò dietro a sé quel mucchio di pietre rischiarato dal sorriso della larva smorticcia, ma guardò dinanzi a sé Volterra come una città condannata al saccheggio, come una signoria perduta. Ebbe lo sguardo del venturiere. E le parole brutali gli sfuggirono.

- Rinunzia così a tutta la sostanza di Casa Inghirami.”

“Le Balze strapiombavano dal cielo come la stagliata rocca al cui piede si ritrovò scosso dalla schiena di Gerione quel grande Etrusco colorato dalla bile atra. Per le paurose cavità vaneggiava l'ombra tra gli sbiancati dirupi simili a gigantesche pile in ruina. Le moli di San Giusto e della Badia, l'una ferrigna l'altra ferrugigna, pareva fossero per precipitare nella fauce; e con esse le restanti mura, e il borgo, e la città sospesa, e tutte le sedi degli uomini piccole e fragili come i nidi delle rondini in sommo dell'immenso e inesorabile orrore.

- Di lassù cadde la ghirlanda di Vana - disse Aldo con un accento singolare che diede un lieve brivido a colui che montava Pergolese. - Vedi? proprio di lassù, da quella muraglia etrusca che di qui sembra un mucchio di sassuoli.

Paolo aveva fermato il suo cavallo; e guardava, rapito nella tragica visione.”

Da queste citazioni non emerge, però, l’immagine di una città ferita e agonizzante, ma di un luogo di potenti suggestioni liriche, capaci di raccontare il tempo e la grandezza, grazie al fascino di una realtà che è destinata a convivere per sempre con la poesia e con l’arte.