Cultura

Le impronte indelebili della donna carcerata

La leggenda narra che la marchesa Caterina Picchena lasciò impresse le proprie tracce sul davanzale del carcere volterrano, dove morì

Una vita travagliata, segnata da disgrazie e da avversità quella della marchesa Caterina Picchena. Lutti, violenze, matrimoni infelici, amori ostacolati, fughe rocambolesche, esili e reclusioni forzate segnarono l’esistenza della nobildonna toscana che, come l’eroina di un romanzo d’appendice, dovette scontrarsi con un destino avverso.

Dopo una lunga serie di rapporti sentimentali tormentati e prove da superare, venne reclusa al Maschio di Volterra con l’accusa di relazione scandalosa. Durante il periodo di detenzione, che durò fino alla morte, avvenuta nel 1658, la giovane donna soffrì per la condizione di isolamento e per la lontananza imposta nei confronti del giovane amante. Furono, così, la nostalgia provata e il desiderio di rivederlo a condizionare le sue giornate. Trascorreva, infatti, la maggior del tempo davanti alle inferriate e guardava, in direzione del mare, nella speranza di scorgere l’innamorato pronto a soccorrerla. Ed è proprio sulle pietre del davanzale sotto la finestrella della cella che, secondo la leggenda, l’infelice marchesa lasciò le impronte dei propri gomiti. I lunghi giorni di attesa e di desideri rimasti irrealizzati impressero un segno indelebile nel luogo di congiunzione tra mondo reale e universo carcerario. Quella fessura, ricavata tra le mura imponenti, simboleggiava, infatti, la possibilità di un’evasione mentale e la disperata, ma utopica, fiducia in un lieto fine.