Cultura

Quando le comete scandivano il tempo

Settimane di 8 giorni, mesi di 29 giorni e secoli con durate variabili. Ecco come funzionava il calendario degli etruschi

Poterlo velocizzare oppure fermare, tornare nel passato o catapultarsi nel futuro, pensare di averne molto a disposizione e, poi, accorgersi che è troppo tardi. Il tempo, da sempre, è oggetto di riflessione e di analisi per gli uomini. Circondato da fascino e mistero, si sottrae, infatti, alle cinque sfere sensoriali, quei parametri naturali che permettono agli esseri viventi di avere coscienza di ciò che li circonda. Ma, nonostante l’apparente inesistenza, “lui” c’è. In ciascuna epoca, quindi, gli uomini hanno cercato di comprenderlo e, oltre ad averne dato una spiegazione, anche a regolamentarlo. Nascono così le scansioni cicliche, ovvero i calendari. E, anche gli etruschi non si sottrassero a questa attività.

Come per molti aspetti legati alle loro usanze abbiamo poche testimonianze, ma il ritrovamento di alcuni testi rituali ha permesso di acquisire informazioni importanti sul computo cronologico e sulla pianificazione di feste e cerimonie che anticipò quello romano.

Come era, quindi, la programmazione temporale dei Rasenna?

A differenza di oggi, le giornate si articolavano dal mezzogiorno al mezzogiorno successivo e non dalla mezzanotte.

Le settimane, basate sul ciclo Nundinale, erano più lunghe di un giorno rispetto a quelle odierne. Infatti l’ottavo era quello dedicato ai mercati, ovvero le nundinae.

Il mese era lunare e la sua durata, di 29 o 30 giorni, era associata all’intervallo tra due lune nuove consecutive.

Nella fase iniziale della civiltà, l’anno, che iniziava con marzo, era composto da 10 mesi che, successivamente, divennero 12. Le sue stagioni erano scandite dall’Equinozio di primavera (20-21 marzo) dedicato a Thesan, divinità dell’Aurora, collegata all’aria; dal Solstizio d’estate (20-21 giugno) in onore di Tinia, dio della Luce, legato al fuoco; dall’Equinozio d’autunno (24 settembre) legato a Nettuno, dio delle Acque; dal Solstizio d’inverno (29 dicembre) connesso a Uni, la grande madre protettrice della terra.

I secoli, invece, erano di durata variabile. Per i sacerdoti alcuni eventi, ad esempio l’apparizione di una cometa, indicavano il passaggio da un’era all’altra. Come a voler bloccare lo scorrere inesorabile del tempo, gli Etruschi erano soliti affiggere un chiodo sulle pareti dei templi. Un gesto di alto significato simbolico che implicava anche un invito a fare tesoro del passato non disperdendone la memoria.