Cultura

Gli etruschi allo specchio

Chiamati “malena” dall’antico popolo, ricoprivano un ruolo centrale nella società e avevano profondi significati simbolici

Specchi conservati al Museo Guarnacci di Volterra

Dal volto di Narciso riflesso sull’acqua al famoso quesito rivolto a quello magico dalla regina di Biancaneve, lo specchio attraversa, nel corso dei secoli, la letteratura e la storia di ciascuna civiltà.

Duplicatore del mondo e, contemporaneamente, strumento per varcare le soglie di una dimensione alternativa, è un oggetto dai profondi significati simbolici.

Mezzo che permetteva il passaggio verso l’aldilà anche secondo gli Etruschi i quali sottolineavano questo legame mediante il nome.

Il termine “malena”, nella lingua dei Rasenna, fa, infatti, riferimento alla parola vita.

Dai ritrovamenti archeologici, effettuati anche a Volterra, sono stati rinvenuti numerosi esemplari custoditi nelle tombe.

Prevalentemente di forma rotonda e con la superficie convessa, riflettevano un’immagine ridotta rispetto a quella reale. Nella parte concava, invece, erano incise raffigurazioni mitologiche o scene legate alla vita domestica.

Diversi anche i materiali con cui erano realizzati. Di metallo, in particolare di bronzo, i modelli più antichi, ma anche in oro, argento e in oricalco. Leghe tradizionali che si fondono con aspetti innovativi.

Come confermato dalle testimonianze iconografiche, in Etruria, gli specchi erano, infatti, una prerogativa dell’universo femminile. Aspetto che sembra anticipare le parole dello scrittore austriaco Karl Kraus che, a distanza di secoli, evidenzia tratti di vanità caratteristici dell’altra metà del cielo: “Nelle gioie e nei dolori, fuori e dentro, in ogni situazione, la donna ha bisogno dello specchio.”