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Cultura domenica 08 gennaio 2017 ore 12:00

I messaggi dal cielo "captati" dagli Etruschi

L'antico popolo decifrava la volontà divina attraverso l’interpretazione dei segni, grazie ad àuguri, aruspici e fulgatores



VOLTERRA — Poter conoscere il proprio destino è da sempre il desiderio di tutti. Curiosi e impazienti cerchiamo qualche anticipazione, anche se più o meno attendibile, in oroscopi e influssi astrali.

Ed ecco arrivare così Paolo Fox con l’irascibile Luna in congiunzione a Marte o il critico Saturno in opposizione a Venere. Transiti di pianeti nei dodici segni che intasano quotidianamente il trafficatissimo cielo zodiacale. Ma cercare di avere qualche risposta sul proprio futuro non è una moda dei tempi moderni.

Anche gli antichi abitanti dell’Etruria ricorrevano a espedienti divinatori, profetici e premonitori.

Subordinati e remissivi nei confronti delle volontà degli dèi, gli Etruschi accettavano passivamente le decisioni divine. La loro cultura, infatti, si basava sulla corrispondenza tra mondo celeste e mondo umano e sul concetto di predestinazione. Così, per conoscere il volere ultraterreno e per avere anticipazioni sulla propria sorte, consultavano gli indovini. Depositari della dottrina, i “predecessori” di Branko si distinguevano per ambito di competenza nell’interpretare i segni degli esseri supremi.

I "fulgatores" traducevano la volontà divina, osservando la direzione dei fulmini; gli aruspici analizzando le viscere degli animali (in particolare il fegato e il cuore); gli àuguri esaminando il volo degli uccelli: se la loro direzione era rivolta verso levante, il segnale era positivo, verso ponente negativo.

Ogni disciplina era regolamentata da usanze e gesti rituali codificati ed estremamente precisi.

La classificazione dei fulmini, per esempio, prevedeva dodici tipologie diverse. Distinti in base al colore, intensità, circostanze e oggetti colpiti che, dopo la scarica elettrica, venivano sepolti. Quel luogo, dopo essere stato recintato, diventava sacro e inviolabile e il calpestarlo era considerato un cattivo auspicio.

Fondamentale per capire l’aruspicina, invece, è il reperto bronzeo chiamato Fegato di Piacenza, rinvenuto nella seconda metà del XIX secolo e attualmente conservato nel Museo Civico di Piacenza presso il Palazzo Farnese. Questa riproduzione del fegato di una pecora, lunga circa 12 centimetri e risalente al II-I secolo a.C., è una mappa suddivisa in parti, ciascuna delle quali contraddistinta dal nome di una divinità.

L’aruspice, dopo aver individuato i quattro punti cardinali, si disponeva con le spalle rivolte verso nord. La parte orientale era sotto l’influenza positiva delle divinità superiori, mentre la parte occidentale era ritenuta negativa perché lì avevano sede le divinità infernali. Assunta la posizione corretta, il divinatore analizzava ciascun dettaglio epatico, dalle sfumature di colore alle anomalie, dalle conformazioni alle escrescenze. Questi particolari, in base alla zona in cui erano collocati, venivano associati alle divinità corrispondenti e veniva formulata la predizione più o meno ostile.

I sottomessi fedeli non erano, però, completamente rassegnati. Cercavano, infatti, di intercedere attraverso offerte votive e sacrifici, nella speranza di addolcire, se non di placare, gli animi divini. 

Viola Luti
© Riproduzione riservata


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