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L'EDITORIALE giovedì 31 dicembre 2020 ore 12:00

​Auguri di fine danno

Ritroveremo l’apostrofo e la piena libertà tornando a darci la mano ed a porgere l’altra guancia. Ci riprenderemo il tempo ma soprattutto lo spazio che lui ci ha tolto.



FIRENZE — Quest’anno che chiude il primo ventennio del terzo millennio più che toglierci un apostrofo ci ha lasciato senza parole. Ci ha fatto però fare uso anche di nuovi termini che ci raccontano cosa sta accadendo e, ancor più, ci servono per capire dove stiamo andando.

Al netto di lui, il Covid, la parola simbolo del 2020, per 6 italiani su 10, è “distanziamento”: condizione di necessità che, da marzo, è diventata abitudine, difficile e complessa da vivere. La maggioranza assoluta dei cittadini, fra le nuove parole del dizionario dell’anno che si chiude, cita mascherina (58%), lockdown (55%), tampone (51%). È quanto emerge dal sondaggio di fine anno condotto per Radio1 Rai dall’Istituto Demopolis, diretto da Pietro Vento.

2020 anno bisesto anno funesto, con le foreste dell’ Australia in fiamme a gennaio, la scomparsa di grandi campioni dello sport ed artisti in autunno oltre alle strage dei nonni per il subdolo e malefico virus. Ma in una piccola parte del bicchiere mezzo pieno, il 2020 ci ha fatto però riscoprire quella lentezza che avevamo abbandonato; capire che la velocità non è un valore primario e che con il lockdown, chiusi in casa, più che guadagnare tempo avremmo bisogno di più spazio fisico e mentale.

Non è una novità. Lo aveva già detto all’inizio del novecento, Tuiavii di Tiavea, un capo indigeno delle Isole Samoe, al suo ritorno da un viaggio in Europa. “Il Papalagi - l’uomo nella lingua samoana - ama sopra ogni cosa ciò che non si può afferrare e che pure è sempre presente: il tempo. Sebbene non ce ne sia mai più di quanto ne può stare tra il levarsi e il cadere del sole, lui non ne ha mai abbastanza.

Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il grande spirito perchè non gliene ha dato abbastanza. Il Papalagi si lamenta: «E' un gran guaio che sia già passata un'ora». Di solito, dicendolo fa una faccia triste, come qualcuno che prova un gran dolore, sebbene dopo quella passata subito arrivi fresca fresca un'altra ora.

I Papalagi corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perchè hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.

Dobbiamo liberare il povero, smarrito Papalagi dalla sua follia, dobbiamo ridargli il suo tempo. Dobbiamo distruggere la sua piccola macchina del tempo e annunciargli che dal levarsi al calare del sole c'è molto più tempo di quanto un uomo può aver bisogno..."

Ai nostri lettori, BUON INIZIO D’ANNO (con l’apostrofo)

Marco Migli
© Riproduzione riservata


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