Interviste lunedì 09 febbraio 2015 ore 16:50
La nuova geotermia delle centrali a 'ciclo chiuso'
Intervista a Fausto Batini, amministratore delegato di Magma Energy Italia, società titolare di due permessi di ricerca in Toscana
CASTELNUOVO VAL DI CECINA — Fausto Batini è un geologo che da
quasi 40 anni lavora nel settore della geotermia in Italia e
all'estero, con una lunga esperienza in Enel. E' nato e vive in Alta
Val di Cecina, nell'area della geotermia cosiddetta 'tradizionale'.
Attualmente è amministratore delegato della società Magma Energy
Italia, titolare di due permessi di ricerca per la geotermia in
Toscana denominati 'Mensano' e 'Roccastrada'. La Società ha fatto
anche richiesta al Ministero dello Sviluppo Economico di un ulteriore
permesso di ricerca sperimentale denominato 'Castelnuovo'.
Dottor Batini, quale è l'assetto
societario di Magma?
“Magma Energy Italia appartiene per
il 55 per cento a Graziella Green Power, una società di Arezzo che
si occupa di energie rinnovabili come fotovoltaico, mini-eolico e biomasse, e per il 45 per cento ad Alterra
Power Corporation, una società quotata in borsa che opera a livello
internazionale nel settore delle energie rinnovabili.
Magma è nata nel 2010 su iniziativa
della canadese Alterra che ha il quartier generale a Vancouver e
gestisce impianti idroelettrici in Canada, eolici in Canada e Stati
Uniti e impianti geotermici in Islanda per 170 megawatt per la
produzione di energia elettrica e circa 100 megawatt per la
produzione di energia termica".
Qual'è attualmente la struttura di
Magma?
“Magma ha sedi in Arezzo e
Castelnuovo Val di Cecina, presso l'incubatore di impresa. Dal punto
di vista tecnico e tecnologico abbiamo tutte le competenze per
realizzare progetti geotermici. Adesso siamo 8 persone con contratto
di lavoro tempo indeterminato, tutti tutelati e non precari, più una
rosa di consulenti all'esterno tutti toscani e del territorio perchè
l'obiettivo è creare ricadute occupazionali sul territorio e la
scelta della sede operativa a Castelnuovo ne è una dimostrazione”.
Voi siete titolari di due permessi
di ricerca della Regione, come funzionano questi permessi di ricerca
e a cosa sono finalizzati?
“Abbiamo due permessi di ricerca già
rilasciati dalla Regione Toscana sulla base della normativa vigente
denominati 'Mensano' e 'Roccastrada'. Inoltre, abbiamo richiesto allo
Stato un altro permesso di ricerca che si chiama 'Castelnuovo'.
Questo è definito 'sperimentale', è il ministero a decidere,
l'abbiamo richiesto un anno e mezzo fa ed attualmente è in fase di
rilascio.
Si richiede un permesso per fare delle
indagini. Il permesso vale 4 anni durante
i quali vengono prima eseguite delle indagini geologiche e
geofisiche per individuare la presenza di potenziali risorse
geotermiche. Una volta completate, si
procede a richiedere le autorizzazioni per perforare alcuni pozzi
esplorativi finalizzati a verificare l’effettiva presenza di fluidi
geotermici idonei a produrre energia elettrica e calore. Al
termine di queste attività, se è stata reperita la risorsa, viene
richiesta la concessione di coltivazione che consente di costruire
gli impianti di produzione ed esercirli per 30 anni, cioè per la
durata della concessione.
Per ottenere questi permessi in Toscana siamo andati in concorrenza: se
non c'è nessuno che chiede la stessa area alla quale è interessata una società, viene dato il permesso. Invece, se c'è qualcuno che vuole
competere, la Regione prende in esame i vari progetti e poi decide”.
Si tratta quindi di indagini
finalizzate allo sfruttamento della geotermia, ma quale è il
contesto attuale?
“Attualmente solo l'Enel è titolare
di concessioni di coltivazione geotermiche in Italia e produce circa
5 milioni di megawatt ora dalla geotermia. Oggi la produzione
geotermoelettrica copre circa il 25 per cento del fabbisogno di
energia elettrica della Toscana, ma appena pari all'1,6 per cento in
Italia.
Con la liberalizzazione del mercato,
sono stati già concessi 52 permessi di ricerca in Italia, altri 41
sono stati richiesti e non ancora approvati; 10 sono i permessi
sperimentali già approvati dal Ministero.
In Toscana sono stati richiesti 52
permessi e ne sono stati concessi 31.
Secondo le valutazioni della Rete
Geotermica, che ha fatto delle stime realistiche sulla base dei dati
forniti dagli operatori dei nuovi permessi di ricerca, è possibile
sviluppare circa 3mila mega watt in Italia nei prossimi 20 anni, che
rappresenterebbero circa il 10 per cento del fabbisogno energetico
italiano”.
Che cosa è la Rete Geotermica di
cui parla?
“La Rete Geotermica è
un’associazione di imprese che operano nel settore geotermico. Poco
più di un anno fa alcune società titolari di circa l’80 per cento
dei permessi di ricerca rilasciati in Italia, tra le quali Graziella
Green Power, Sorgenia, Geoenergy, Toscogeo, Gesto Italia e Magma
Energy Italia, hanno costituito una la Rete Geotermica. Oltre ai
titolari dei Permessi di Ricerca, fanno parte delle Rete Geotermica
anche imprese industriali specializzate nella progettazione e
realizzazione di impianti, quali Hydrodrilling, Turboden, Exergy,
Termomeccanica, Sintecnica, Samminiatese pozzi, Idrogeo,
Termomeccanica Ecologia e Isolver.
L’obiettivo della Rete Geotermica è
quello di ricreare una filiera geotermica italiana e valorizzare la
risorsa geotermica a 360 gradi, cioè non solo per la produzione di
energia elettrica, ma anche in altri ambiti per usi non elettrici e
nel massimo rispetto dell'ambiente.
Vogliamo promuovere la geotermia e
proporci come interlocutori con le istituzioni come soggetto unico,
sviluppare progetti industriali integrati con le attività della
comunità. Ciò significa realizzare gli impianti con zero emissioni
e totale reimmisione dei fluidi nel sottosuolo e creare un nuovo
know-how made in Italy geotermico da esportare nel mondo”.
La Rete
Geotermica ha anche siglato un protocollo con la Regione Toscana?
“Sì,
è stato sottoscritto dallo stesso presidente Rossi il 28 gennaio
2014. E' un protocollo d'intesa nel quale la Rete Geotermica e la
Regione, in accordo con i piani regionali, intendono favorire lo
sviluppo sostenibile incentrato sulla coltivazione delle risorse
geotermiche attraverso l'impiego di tecnologie innovative, in grado
di ridurre all'impatto ambientale”.
Nel dettaglio, quali sono le vostre
finalità?
“Vogliamo
fare una geotermia più amica dell'ambiente, in armonia con il
territorio, questo non è uno slogan, per noi è una missione. Ci
proponiamo di realizzare impianti con nessuna emissione in atmosfera
e con un miglioramento dell'inserimento nell'ambiente. Per fare degli
esempi, i tubi che trasportano i fluidi saranno interrati e le
centrali, di piccole dimensioni, saranno progettate per renderle
integrate nel paesaggio.
Tutto questo
vorremmo farlo cercando di arrivare ad una accettabilità sociale con
le comunità, attraverso la comunicazione, la trasparenza ed il
dialogo con i territori. Noi non facciamo cose sottobanco”.
Può
spiegarci, in maniera semplice, quali sono esattamente i modelli di
centrali che proponete di realizzare?
“In geotermia ci sono 2
tipi di impianti. Nel primo tipo, come quelli di Larderello e Monte
Amiata, il fluido geotermico prodotto da pozzi di estrazione e
tubazioni di trasporto, viene immesso direttamente in una turbina
collegata ad un generatore elettrico. In questo tipo di impianti gran
parte del fluido prodotto viene immesso in atmosfera sotto forma di
vapore e gas, mentre solo una porzione di esso viene reimmessa nel
sottosuolo come liquido.
Il secondo tipo, come
quello già impiegato in varie parti del mondo e che la Rete
Geotermica impiegherà sui nuovi progetti geotermici, prevede che il
fluido geotermico prodotto da pozzi di estrazione venga utilizzato
per cedere calore ad un fluido che ha una bassa temperatura di
ebollizione. Fluido che viene immesso in una turbina collegata ad un
generatore elettrico. In questo caso il fluido geotermico non viene a
contatto con l’atmosfera e viene totalmente reimmesso nel
sottosuolo. Questo fluido di lavoro è non infiammabile e non
esplosivo.
Il
raffreddamento del fluido lo puoi fare in due modi: o con dei grossi
ventilatori ad aria, oppure ad acqua, ma visto che questa è una
risorsa preziosa noi pensiamo ai ventilatori.
Un aspetto da non sottovalutare è quello della sostenibilità della
risorsa: se io reimmetto quello che uso nel sottosuolo, riduco i
rischi di sismicità, evito le interferenze con le falde acquifere ed
ho una maggiore sostenibilità nel tempo”.
Un'altra domanda tecnica: può
spiegarci la definizione di bassa, media ed alta entalpia?
“L'entalpia è una grandezza fisica
che esprime la quantità di energia interna che un sistema può
scambiare con l'ambiente e dipende dalla pressione e dalla
temperatura.
Spesso si tende a sostenere che gli
impianti a 'ciclo chiuso' possono essere utilizzati per la 'media
entalpia': fluidi con temperatura compresa tra 90 e 150 gradi
centigradi. In realtà gli impianti a 'ciclo chiuso' possono essere
utilizzati anche per la 'alta entalpia', cioè fluidi con
temperatura superiore a 150 gradi centigradi. Esempi di impianti di
questi tipo sono già stati realizzati da molti anni in varie parti
del mondo”.
Quindi il tipo di materia prima,
cioè vapore o acqua che vado a trovare nel pozzo, non cambia il tipo
di tecnologia dell'impianto scelto? Ad esempio cosa accade per i gas
che sappiamo ci sono nel sottosuolo insieme al vapore?
“Come
già detto gli impianti a 'ciclo chiuso' possono essere utilizzate
con diverse tipologie di fluidi geotermici ed anche i gas non
condensabili presenti nel fluido geotermico possono essere reimmessi
nel sottosuolo con modalità operative.
La scelta che
abbiamo fatto noi è reimmettere nel sottosuolo il fluido
geotermico raffreddato e portato allo stato liquido, separato dai
gas non condensabili che verranno immessi a maggiore profondità”.
Cosa rispondete, quindi, a chi vi
chiede come saranno le vostre centrali?
“Le nostre centrali saranno a 'ciclo
chiuso' senza emissioni di vapore e gas in atmosfera e saranno
progettate per rendere ottimale il loro inserimento ambientale e
paesaggistico.
Attualmente non sappiamo dove andremo
esattamente a costruire la nostra prima centrale: lo sapremo solo
dopo aver realizzato i pozzi esplorativi. Di
certo sappiamo che sarà di piccole dimensioni e, se necessario,
anche parzialmente interrata”.
Quali sono i costi di queste
operazioni?
“Magma è titolare di due permessi di
ricerca e paga alla Regione Toscana un canone annuale di circa 170mila euro (circa 350 euro all'anno per ogni chilometro
quadrato ndr).
I costi sostenuti per le indagini
geologiche e geofisiche si aggirano intorno ai 4 milioni di euro.
Un pozzo esplorativo costa circa 5-6
milioni di euro.
Un impianto da 5 megawatt comprensivo
dei pozzi, sistemi di trasporto dei fluidi e la centrale costerà
circa 25 milioni di euro. Gran parte degli investimenti per
realizzare pozzi ed impianti avranno ricadute occupazionali
soprattutto a livello locale”.
Attualmente a che punto sono i
vostri permessi di ricerca?
“Nel permesso di ricerca Mensano
abbiamo svolto una serie di attività di indagine di superficie
geologiche, geofisiche non invasive e, grazie anche ai numerosi dati
sismici pubblicati nel corso degli ultimi dieci anni, abbiamo ubicato
due pozzi esplorativi nella zona sud ovest del Permesso ricadente nel
Comune di Castelnuovo. La procedura per la valutazione di impatto
ambientale è stata avviata e prevediamo che l’iter autorizzativo
si concluda entro il mese di giugno. Per la realizzazione dei due
pozzi prevediamo un investimento di circa 11 milioni di euro. Per completare l’esplorazione sul
permesso Mensano siamo in attesa di ricevere l’autorizzazione
dalla Regione Toscana per l’esecuzione di 3 sondaggi per la misura
del gradiente geotermico e di una prospezione simica a riflessione
per individuare la presenza di strutture geologiche profonde nella
zona settentrionale del permesso.
Anche
nel permesso Roccastrada abbiamo svolto una serie di indagine di
superficie geologiche, geofisiche non invasive, a breve inizieremo
una prospezione sismica e poi entro l'anno completate le indagini,
saremo in grado di ubicare i primi pozzi esplorativi”.
A Montecastelli il vostro progetto è
stato contestato, cosa dice a proposito?
“Noi siamo disponibili e aperti al
dialogo con la popolazione. Purtroppo durante gli incontri svolti fino ad
oggi non siamo riusciti a spiegare compiutamente i nostri progetti,
ma contiamo di farlo nelle prossime settimane anche con altri
incontri con la popolazione.
Vogliamo fare capire che
natura, attività turistiche e geotermia, in particolare quella che
proponiamo, possano coesistere ed anzi creare nuove opportunità per
la comunità locale.
Sulla localizzazione dei
pozzi ed anche di una eventuale centrale, siamo disponibili a
discutere insieme all'amministrazione comunale ed ai cittadini e
decidere insieme quella migliore .
Vorrei dire che non ci
pare giusto che i cittadini, o almeno una parte di essi, debbano
assumere una posizione pregiudiziale contro il nostro progetto, che
propone un nuovo modo di fare una geotermia sicuramente più
compatibile con l’ambiente rispetto a quella che è presente
proprio di fronte al paese di Montecastelli e che non sembra in
conflitto con le attività turistiche”.
Cosa risponde a chi chiede cosa
succede se dopo le perforazioni non viene trovato il vapore
utilizzabile industrialmente?
"Naturalmente
ci auguriamo che le nostre perforazioni abbiano successo. Ma se ciò
non dovesse accadere tutto verrà riportato allo stato iniziale, a
spese nostre, come già previsto dagli impegni presi con la Regione
Toscana che chiede adeguate garanzie bancarie per consentire
l’esecuzione delle necessarie opere di ripristino”.
E' possibile,
secondo lei, che l'idea di piccole centrali diffuse sia accettata
dalle popolazioni più difficilmente di poche e grandi centrali?
“Bisogna
andare per gradi innanzitutto. Prima si fanno le indagini, poi i
pozzi, poi le centrali. Secondo me lo sviluppo industriale della
geotermia non si farà più con centrali di grandi dimensioni. Né
c'è il rischio che tante piccole centrali sorgano una accanto
all'altra. Siamo convinti che quando la prima centrale sarà
realizzata con i criteri che noi adotteremo, l’atteggiamento delle
popolazioni, oggi contrarie a questo nostro progetto, si trasformerà
in pieno consenso”.
Nei vostri progetti, non c'è solo
la produzione di energia, ma parlate anche di altro. Può spiegarci di cosa si
tratta?
“La nostra idea di sviluppo è quella
di una geotermia in armonia con il territorio. Si possono trovare
delle forme diverse con cui valorizzare una risorsa come quella
geotermica che qui c'è, e come tale deve essere considerata.
Ci sono Paesi, come l’Islanda , dove
intorno ad una centrale è nato un parco geotermico nel quale
sono state realizzate una beauty farm, una clinica per la cura della
psoriasi, laboratorio per i cosmetici, una piscina a cielo aperto
dove ogni anno 700 mila visitatori si immergono e anche molto altro,
creando un business da 6 milioni e mezzo all'anno.
Se tornassimo indietro, anche nel nostro
territorio negli anni '50 e '60 c'erano le terme, le serre,
l'itticoltura, una industria chimica prettamente legata alla
geotermia. Poi c'è stata un'evoluzione e siamo arrivati ad usare la
geotermia solo per la produzione di energia elettrica.
Il
nostro progetto è quello di ritornare un po' alle origini,
valorizzando la risorsa geotermica non solo per produrre energia
elettrica, ma anche per creare nuove opportunità di sviluppo per
questo territorio, complementari a quelle che oggi offre il
turismo”.
Che cosa ci dice, infine, della
moratoria di sei mesi proposta dal presidente Rossi?
“Noi siamo rimasti molto sorpresi,
soprattutto dopo la firma del protocollo d’intesa che la Regione
Toscana e la Rete Geotermica avevano siglato proprio un anno fa. La geotermia è una fonte strategica
nazionale e quindi un bene indisponibile dello Stato. Oltre il 50 per cento dell’energia
necessaria al nostro Paese proviene da fonti fossili, che importiamo
dall’estero, e francamente non si capiscono scelte che penalizzano
la valorizzazione di una risorsa naturale quale è la geotermia”.
Alessandra Siotto
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