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Cronaca venerdì 30 dicembre 2016 ore 15:00

Quell'omicidio nel vicolo delle Belle Donne

Novanta anni fa, nel centro di Volterra, un fatto di sangue scosse gli abitanti della città ma non ebbe una grande risonanza sulle pagine dei giornali



VOLTERRA — È da poco passato mezzogiorno di sabato 21 agosto 1926, quando, nel vicolo delle Belle Donne, una ragazza si getta dalla finestra dello stabile al numero civico 2.

Giuseppina Cherici, di appena 20 anni, viene trasportata all’ospedale, ma l’impatto della caduta, dall’altezza di 9 metri, non le permetterà di sopravvivere. Il dolore e l’incredulità, di fronte a un gesto così estremo, aumentarono quando alcuni soccorritori si recarono nella camera della giovane. Infatti, sul pavimento della stanza, giaceva esanime il corpo dell’amica Pia Momini. Accanto al cadavere della ragazza, si trovavano una rivoltella da cui erano stati sparati due colpi e sul tavolo un bicchiere contenente acido muriatico. L’episodio, che suscitò un enorme clamore in città, venne raccontato il giorno successivo sull’edizione de Il Corazziere. Il cronista, però, non si sbilanciò riguardo ai possibili moventi, si limitò a scrivere che “sulle cause di questo tragico fatto che ha troncato l’esistenza di due giovani vite nel fiore degli anni, svariate sono le versioni del pubblico.”

La notizia venne ripesa nel numero successivo del giornale, datato 29 agosto. Fu riportata, senza ulteriori commenti, la mera ricostruzione dei fatti. Le indagini avevano, infatti, dimostrato che Pia Momini era stata uccisa dall’amica poco prima che quest’ultima si suicidasse. A livello giornalistico il tragico evento ebbe, quindi, scarsa risonanza, nonostante la vicenda avesse suscitato grande interesse tra la popolazione. Il settimanale evitò di parlare di supposizioni che ipotizzavano, tra le altre congetture, una possibile relazione sentimentale tra le due donne. Non deve stupire la ritrosia, quasi l’autocensura del periodico volterrano, perché quelli erano anni in cui anche i giornalisti dovevano evitare questioni che avrebbero potuto sfidare la rigida morale della chiesa e dello stato. Durante il ventennio del fascismo, inoltre, la cronaca nera conobbe reticenze e censure: si voleva dimostrare che il nuovo regime era riuscito a ridurre, se non eliminare, la criminalità, nonostante tutti sapessero che furti, omicidi e atti illeciti continuassero a esserci e a convivere con la disciplina della dittatura. L’omosessualità, maschile e femminile, poi, era considerata un delitto da perseguire e da indicare come la conseguenza della decadenza e della immoralità, un crimine contro la vita. 

Viola Luti
© Riproduzione riservata


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