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Attualità giovedì 27 ottobre 2016 ore 16:30
Un delitto circondato da molti dubbi
Negli anni Cinquanta un fatto di sangue dai contorni ancora incerti coinvolse la città. A distanza di tempo manca una verità convincente
VOLTERRA — Washington Favilli (anni 45), Gino Simoncini (19), Alvaro Puccioni (20) sono nomi di tre volterrani vittime di un episodio di cronaca nera che coinvolse la città etrusca nella seconda metà del secolo scorso. Furono uccisi la notte del 22 settembre 1951 mentre tornavano verso i loro poderi dopo un’affollata assemblea di contadini presso la sede del CRAL di Sburleo – Spedaletto: l’argomento all’ordine del giorno era la riforma agraria.
L’assassino fu identificato in Gino Bonsignori di Peccioli, avventuriero, ex della legione straniera, espulso dalla Francia dopo aver scontato una detenzione di due anni per furto. Venne condannato, in quanto reo confesso, all’ergastolo con la sentenza del 22 marzo 1955. Nel 1984, viste le gravi condizioni di salute, fu assegnato alla casa Cardinale Maffi di Cecina dove morì.
Raccontata così la questione potrebbe essere archiviata come un fatto di sangue a scopo di rapina con tanto di vittime e di responsabile unico. Ma, in effetti, la ricostruzione dell’episodio potrebbe essere più complessa. Troppe le contraddizioni nella deposizione del responsabile che, prima, dichiara di aver agito da solo, poi, di averlo fatto in compagnia di complici.
Inoltre, la posizione stessa dei corpi delle vittime: il Favilli ucciso con una fucilata al volto lontano dagli altri due cadaveri; il Simoncini massacrato dopo essere stato legato a un albero; il Puccioni giustiziato a pochi metri di distanza da lui. E numerose anche le incongruenze: l’arma del delitto che non permetteva simultaneità di colpi; i portafogli in piena vista, aperti accanto ai cadaveri a dimostrazione del movente, ovvero, il furto; la stranezza di un agguato in aperta campagna per derubare degli umili lavoratori.
Ma c’è di più. Quelli erano anni di grandi fermenti nelle campagne, alcuni capilega erano stati minacciati e uno di loro aveva ricevuto anche un avvertimento con colpi di arma da fuoco a pochi metri da casa sua. Insomma, un clima che favorì letture politiche del pluriomicidio e che scatenò fortissime polemiche.
La voce della Nuova Etruria, giornale dei comunisti volterrani, nel mese di ottobre dello stesso anno, scrisse che i fatti di Spedaletto ricordavano “i crimini dello squadrismo agrario”. I giornalisti volterrani che, in quel periodo, si occuparono del caso sono Enzo Luti, corrispondente de L’Unità e Paolo Ferrini, de La Nazione. Negli ultimi anni la vicenda è stata, invece, ricostruita da Dario Orrù.
A distanza di tempo, non è ancora emersa una verità convincente che possa avallare la sentenza del 1955 e dimostrare l’infondatezza degli indizi e delle prove.
Viola Luti
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