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Attualità sabato 28 novembre 2015 ore 18:25

"Città in stato terminale d'abbandono"

La riflessione di Simone Migliorini fra passato e futuro di un territorio e i suoi servizi: "la chiusura dell'ospedale sancirebbe la fine di Volterra"



VOLTERRA — "Far morire una città come Volterra e il suo territorio, quindi gradualmente abbandonare case, palazzi, posti di lavoro, sviluppo culturale, turistico, economico, per fare in modo che tutti si trasferiscano in 'non luoghi' popolosi dove l'uno diventa mille. Fare in modo e maniera che città come Volterra diventino delle Pompei moderne sepolte dalla 'bava' della retorica". E' Simone Migliorini, attore, ideatore e direttore artistico del Festival internazionale del Teatro Romano a fare una dura riflessione sulla perdita di servizi nella città etrusca, a partire dall'ospedale.

I NUMERI. Migliorini parte da una considerazione generale: "non si capisce quale sia la consistenza della strategia politica dei numeri; 'il caso Volterra', intesa non solo come città, ma anche come territorio, espoliata di tutti i servizi, lasciata deperire economicamente e demograficamente, attaccata e depauperata sul piano culturale". "Esibita oggi - aggiunge - solo come gioiello, o meglio pietra preziosa priva di incastonatura, riportata alla sua essenza, alla sua preziosità e meraviglia 'al naturale' pertanto fragile e facile preda".

"Volterra è sinonimo di un territorio politico e culturale con una storia lunga secoli - ricorda - di proporzioni geografiche gigantesche che le politiche del dopoguerra non hanno ancora sconfitto nel suo radicato senso di appartenenza, perché l'antropologia umana e geografica e l'omogeneità e l'affinità, resa da millenni di storia e cultura comune dei popoli, non può essere sconfitta da strategie politiche". "Sono legami inspiegabili - prosegue Migliorini - come quelli tra componenti della stessa famiglia, sono legami di sangue, come quelli tra tribù in senso più esteso e moderno, ma di fatto sono legami antichi e radicati nei secoli e nei millenni".

E poi entra nel merito dei fatti di attualità: "chiudere l'Oospedale a Volterra, a parte il discorso etico sancito costituzionalmente del diritto alla Salute, vuol dire penalizzare del 30 per cento del Pil cittadino, in una realtà che non ha altre possibilità di sviluppo per la sua conformazione geografica e infrastrutturale". "La chiusura dell'ospedale finirebbe col cancellare definitivamente queste possibilità - aggiunge - senza contare a caduta tutto quello che potrebbe perdere in conseguenza e sancirne la fine".
"E' legittimo chiedersi come mai si vanno a costruire ospedali in città tra loro vicine quando un patrimonio immobiliare di proporzioni gigantesche come quello dell'ex ospedale psichiatrico di Volterra va in rovina - sostiene Migliotini - il verde nel quale è immerso è interdetto ai cittadini e ai visitatori, da anni, per i crolli possibili degli edifici". "Un patrimonio immobiliare già costato in termini di denaro ai nostri nonni - prosegue - Con lo stesso costo, forse minore, potevano essere create infrastrutture come strade di collegamento tra Volterra e le sue valli?"
"In passato con quei soldi si poteva riqualificare tutto quel patrimonio immobiliare costruendo un ospedale a servizio di una area vasta da secoli definita 'il Volterrano' - aggiunge - perchè Volterra può e sa assolvere quel compito che è suo da millenni, di capitale politico, culturale e di servizi di un territorio, che è suo per logistica geografica storica e culturale".

Secondo Migliorini "Volterra può tornare a essere, con le infrastrutture adeguate, la casa di tutti coloro che migrano nei 'non luoghi' vicini per lavorare; può rappresentare, offrire, accogliere restituire o dare, un' identità a tutti coloro che vogliono sentirsi parte di un luogo, che vogliono riappropriarsi di un'origine, di un'identità, vogliono tornare a sentirsi essere umani e non risultati di tabelline, insiemi, formule statistiche, numeri". 

LA STORIA. Migliorini ripercorre anche le tappe storiche del nosocomio volterrano.

"Il più antico ospedale di Volterra, ci dice Mario Battistini, è quello di S.Maria della chiesa maggiore del quale la più antica notizia è del 1161, si dice si trovasse nei pressi della Cattedrale. L'altro antico spedale era quello di San Lazzaro che dal nome del Santo si evince a chi fosse destinato; possiamo risalire al 1210 ma la Chiesa dedicata al Santo esisteva già da molto prima.

Nella contrada di Porta a Selci nel 1316 fu fondato un ospedale per opera di Michele Provenzano, lo spedale di Baccio di Federigo o della Misericordia invece era in via Nuova se ne ha notizia dal 1291. Un altro spedale in via Nuova (palazzo Marchi) detto di Santa Maria è il più antico dopo quello di S.Maria maggiore. Del 1348 è invece lo spedale dei S.S.Jacopo e Giovanni nella contrada di Sant'Agnolo voluto da Taviano fu Strenna di Buonaventura.Lo Spedale di S.S. Giusto e Clemente risale almeno al 1147,lo Spedale di Prato Marzio o di Santo Stefano sembra sia del 1325, a San Cipriano invece venne fondato nel 1348, anno della Peste. 

Nel tanto vituperato Medioevo, seppur con i mezzi di allora, l'intero territorio della vecchia diocesi aveva spedali e più i luoghi erano lontani e sperduti più gli spedali venivano edificati: c'era uno spedale anche in Berignone nei pressi del Castello, e tralascio tutti i borghi e sobborghi. Bisogna considerare che molti fossero solo di ricovero e assistenza, altri dei veri e propri ospedali dove si prestavano cure, ma l'etica dell'assistenza e del conforto dei poveri e dei deboli, era largamente diffusa.

Fu nel 1353 che il Vescovo Belforti fece riunire gli Spedali di Baccio quello di S.Jacopo e quello di S.Maria in uno solo chiamato poi Spedale nuovo, o "Hospitate Misericordiae de via Nova", che nel 1384 si accorpò a quello di Santa Maria della chiesa maggiore e vi si aggiunsero anche quello "di Provenzano" , quello di S.Stafano, di S.Cipriano e di Montegemoli. I 7 Spedali formarono un solo unico istituto: 'Hospitale maioris Beatae Mariae semper Virginis gloriosae' (l'unione degli Ospedali fu approvata dal Papa il 20 giugno 1394). 

Furono però le guerre e le epidemie e la non sempre avveduta amministrazione che ne impedirono lo sviluppo. Per superare le difficoltà i Priori decisero di inviare un ambasciatore al Papa nel 1424 per chiedere la cessione del giurispadronato sull'Ospedale impegnandosi ad aumentarne le rendite per meglio assistere i poveri e gli infermi. Solo nel 1437 il Vescovo Adimari cedette al Comune tutti i diritti sull'Ospedale pur mantenendolo sotto la protezione dell'autorità Pontificia. 

Durante il Sacco del 1472 le soldataglie del Duca D'Urbino, non si limitarono neppure a risparmiare l'ospedale: tutti i carteggi, i protocolli, i contratti, furono distrutti e dispersi.
Fu così che due anni più tardi Papa Sisto V con Bolla del 6/12/1474 stabiliva che l'ospedale volterrano non potesse essere molestato da alcuno e per nessun motivo". 

E Migliorini si chiede "se la bolla papale abbia anche oggi un suo valore..."


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