Attualità lunedì 24 ottobre 2016 ore 16:15
Case di ora, scuole di un tempo

Salendo verso la città si scorgono in ogni angolo gli edifici delle elementari "rurali" e dei borghi del primo '900 riconvertiti in abitazioni private
VOLTERRA — Sui tornanti del monte volterrano, da qualsiasi strada si decida di raggiungerlo, non è raro scorgere alcune delle tante piccole scuole rurali costruite nella prima metà del Novecento per facilitare l’alfabetizzazione dei bambini. L’istruzione era, infatti, avvertita come una necessità irrinunciabile per modernizzare il paese, per sottrarlo all’ignoranza e per restituire dignità ai cittadini, permettendo loro di raggiungere un’identità sociale e nazionale. Le elementari erano, dunque, disseminate sul territorio, sia nelle campagne sia nei borghi fuori le mura, e la loro presenza è la testimonianza di un periodo in cui, a causa delle condizioni delle strade e dei trasporti, “la Montagna era costretta ad andare da Maometto” per realizzare il piano di alfabetizzazione del popolo.
L’unificazione linguistica così iniziata è stata poi completata dalla diffusione della televisione negli anni Sessanta.
Complici i trasporti più agevoli e a disposizione di tutti e migliorate le infrastrutture, le strutture scolastiche sono state centralizzate e i vecchi edifici hanno subito un cambio di destinazione d’uso.
Adesso, infatti, queste piccole avanguardie del sapere, essenziali anche per la forma architettonica semolice, sono diventate case, villette o complessi condominiali. Ma racchiusa in loro è rimasta un’atmosfera che rimanda alla loro vecchia funzione. Sono state, infatti, per chi le ha frequentate, una risorsa importante, tanto da diventarne oggetto delle loro attenzioni e del loro ricordo pungente. Il poeta Renzo Pezzani (1898 – 1951), in una lirica del 1939, le racconta così:
Scuola di campagna
È fuori dal
borgo due passi
di là del più
fresco ruscello
recinta di
muro e cancello
la piccola
scuola di sassi.
Agnella
staccata dal branco
col suono che
al collo le han messo
richiama ogni
bimbo al suo banco
nell’aula che
odora di gesso.
C’è ancora la
vecchia lavagna
con su
l’alfabeto mal fatto:
lo scrisse un
bambino distratto
dal verde di
quella campagna.
E lei, che mi
vide a sei anni,
c’è ancora.
La voce un po’ fioca,
vestita
d’identici panni,
la vecchia
signora che gioca.
C’è ancora il
vasetto d’argilla
che m’ebbe
suo buon giardiniere;
è verde,
fiorito di lilla,
e un bimbo
gli porta da bere.
Il tempo
passò senza lima
su queste
memorie. Ritorno
lo stesso
bambino d’un giorno
sereno,
nell’aula di prima.
E in punta di
piedi, discreto,
nell’ultimo
banco mi metto
e canto, nel
dolce coretto
dei bimbi,
l’antico alfabeto.
Viola Luti
© Riproduzione riservata
Se vuoi leggere le notizie principali della Toscana iscriviti alla Newsletter QUInews - ToscanaMedia. Arriva gratis tutti i giorni alle 20:00 direttamente nella tua casella di posta.
Basta cliccare QUI