Schlein a Cernobbio: «Il compito di noi opposizioni è costruire un'alternativa credibile a questo Governo»
Cultura giovedì 11 maggio 2017 ore 16:30
D’Annunzio e il dolore di Volterra
Il poeta ripercorre, in un sonetto della raccolta Elettra, la storia, l’identità e la collocazione geografica della città
VOLTERRA — La forma metrica circolare del sonetto, l’uso dei vocaboli, i riferimenti alla città solitaria e sopraelevata, l’immagine della maga Circe e la presenza lontana del mare e delle isole richiamano in modo costante i luoghi dell’Odissea. Gabriele D’Annunzio, nella poesia Volterra che fa parte della raccolta Elettra, osserva l’acropoli e l’orizzonte marino con gli occhi attenti e indagatori di Ulisse. Dà origine, così, a un costrutto poetico capace di rendere, non solo l’atmosfera, ma anche la dimensione chiaroscurale della Lucumonia. L’epoca etrusca, il Medioevo e il Rinascimento caratterizzano le due quartine che costituiscono la fronte della lirica. Il racconto è basato sul rapporto visivo interno ed esterno, sul contrasto tra vicinanza e lontananza dello sguardo e sulla tonalità della contrapposizione cromatica. Il desiderio della morte e della rinascita nell’eternità è racchiuso nell’ultima terzina che a sua volta contiene l’urna cineraria sulle cui formelle è raffigurata la sorte dei compagni dell’eroe greco.
“Su l’etrusche tue mura, erma Volterra,
fondate nella rupe, alle tue porte
senza stridore, io vidi genti morte
della cupa città ch’era sotterra.
Il flagel della peste e della guerra
avea piagata e tronca la tua sorte;
e antichi orrori nel tuo Mastio forte
empievan l’ombra che nessun disserra.
Lontanar le Maremme febbricose
vidi, e i plumbei monti, e il Mar biancastro,
e l’Elba e l’Arcipelago selvaggio.
Poi la mia carne inerte si compose
nel sarcofago sculto d’alabastro
ov’è Circe e il brutal suo beveraggio.”
Viola Luti
© Riproduzione riservata
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