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mercoledì 11 dicembre 2024

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

La ricreazione è finita

di Pierantonio Pardi - lunedì 22 luglio 2024 ore 08:00

Dario Ferrari

La ricreazione è finita

Uscito nel 2023, per i tipi della Sellerio, questo romanzo è diventato in breve tempo un caso letterario, entrando anche tra i finalisti al premio Strega. Ha vinto il premio Flaiano per la narrativa e il premio Satira Forte dei marmi.

Vado quindi a presentarvelo, partendo come di consueto dalla sinossi, presente nel risvolto di copertina.

Dario Ferrari, La ricreazione è finita

Marcello è un trentenne senza un vero lavoro, resiste ai tentativi della fidanzata di rinsaldare il legame e cerca di prolungare ad libitum la sua condizione di post-adolescente fuori tempo massimo. La sua sola certezza è che vuole dirazzare, cioè non finire come suo padre a occuparsi del bar di famiglia. Per spirito di contraddizione, partecipa a un concorso di dottorato in Lettere, e imprevedibilmente vince la borsa. Entra così nel mondo accademico e il suo professore, un barone di nome Sacrosanti, gli affida come tesi un lavoro sul viareggino Tito Sella, un terrorista finito presto in galera e morto in carcere, dove però ha potuto completare alcuni scritti tra cui le Agiografie infami, e dove si dice abbia scritto La Fantasima, la presunta autobiografia mai ritrovata. Lo studio della vita e delle opere di Sella sviluppa in lui una specie di identificazione, una profonda empatia con il terrorista-scrittore: lo colpisce il carattere personale, più che sociale, della sua disperazione. Contemporaneamente sperimenta dal di dentro l'università: gli intrighi, le lotte di potere tra cordate e le pretestuose contrapposizioni ideologiche, come funziona una carriera nell'università, perfino come si scrive un articolo «scientifico» e come viene valutato. Si moltiplicano così i riferimenti alla vita e alla letteratura di Tito Sella, inventate ma ironicamente ricostruite nei minimi dettagli; e mentre prosegue la sarcastica descrizione della vita universitaria, il racconto entra nella vita quotidiana di Marcello e nelle sue vitellonesche amicizie viareggine. Realtà sovrapposte, in cui si rivelano come colpi di scena delle verità sospese. Che cosa contiene l'archivio Sella, conservato nella Biblioteca Nazionale di Parigi? Perché il vecchio luminare Sacrosanti ha interesse per un terrorista e oscuro scrittore? E che cosa racconta, se esiste, La Fantasima, l'autobiografia perduta? “La ricreazione è finita” è un'opera che si presta a significati e interpretazioni molteplici. Un narrato in cui si stratificano il genere del romanzo universitario - imperniato dentro l'artificioso e ossimorico mondo dell'accademia -, con il romanzo di formazione; il divertimento divagante sui giorni perduti di una generazione di provincia, con la riflessione, audace e penetrante, sulla figura del terrorista; e il romanzo nel romanzo, dove l'autore cede la parola all'autobiografia del suo personaggio.)

Ed ecco la recensione di Eleonora Zucchi (Doppio Zero, 26 ottobre 2023) che riporto per intero perché fotografa in modo critico e intelligente la struttura del romanzo.

“ L’impianto del libro di Dario Ferrari, La ricreazione è finita è piuttosto complesso: la struttura a forme concentriche si rivela progressivamente, e se in un primo momento si apprezza il tono scanzonato con cui vengono narrate le vicende di Marcello, dottorando in Italianistica all’Università di Pisa alle prese con la propria manifesta e dichiarata inettitudine, procedendo nella lettura si assiste a progressivi cambi di stile e tonalità funzionali all’irruzione di altre storie nella storia, come in un gioco di scatole cinesi; tuttavia in questo labirinto narrativo non ci si perde poiché si trova al termine il filo preciso che riunisce tutti i piani, i fini dei personaggi, le strane incongruenze: tout se tient. E allora la sferzante ironia che già bastava a rendere i primi capitoli irresistibili assume la funzione di accesso a un piano più profondo, più serio, perché più reale, umano, a ricordarci che sì, “la ricreazione è finita”, che non si tratta solo di un gioco, ma del lavorìo del senso di una storia, o forse del senso della Storia che ha ordinato tutti gli eventi, gli incontri e gli scontri affastellati nelle pagine del romanzo.

L’aria che si respira è quella del mare di Viareggio, che dà inconsistenza a ogni decisione, come se tutto fosse destinato a un’immobilità leggera, tutto sommato piacevole: quale cambiamento è auspicabile in un microcosmo fatto di vite normali, di trentenni che piano piano si avviano a diventare adulti senza che la Storia li abbia mai messi alla prova? Si vaga, facendo quello che hanno sempre fatto tutti. Marcello, a differenza degli amici, è trattenuto da una potentissima forza di inerzia; non è l’eccessivo intellettualismo a determinare la sua riluttanza, ma una sorta di distanza da sé stesso, dalle proprie azioni, e dall’energia che muove ogni decisione. Marcello non ricorda, non ha memoria; non sa di aver organizzato durante l’occupazione del proprio liceo un convegno su uno scrittore e ex terrorista, Tito Sella, che il professore e mentore Sacrosanti gli affida come argomento della propria tesi di dottorato. Solo Letizia, “Goldilocks”, la fidanzata tutto fare-parlare-organizzare, glielo ricorda, a confermare il suo ruolo di memoria esterna o grillo parlante del protagonista.

Marcello non sa quello che ha fatto, quello che fa, né quello che farà: le sue azioni non sono mosse da desideri coscienti o previsioni, ma da reazioni agli eventi circostanti, come le meduse che più che nuotare si lasciano trasportare, per poi trovarsi proprio dove volevano essere. Pare di vedere transitare davanti agli occhi la pietra di cui parla Spinoza: che libertà sarà mai quella di un masso che, scagliato da qualcuno in una certa direzione, si trovi a pensare: voglio andare proprio lì? E così Marcello si trova a fare un dottorato e ad andare a Parigi a scartabellare l’“Archivio Sella” in cerca della Fantasima, autobiografia perduta dell’autore, in cui trovare la verità sulla vita del terrorista.

La biografia di Sella, infatti, ricostruita sulla base delle fonti disponibili, presenta alcune lacune e incongruenze; Marcello si butta a capofitto in questa ricerca, come se trovare il bandolo dell’intrico delle vicende di Sella e della sua banda rivoluzionaria Ravachol, potesse compensare l’assoluta indifferenza con la quale guarda il proprio intrico interiore. È qui che irrompe il secondo livello, o romanzo, di cui Tito Sella diventa il nuovo protagonista e ci ritroviamo nella Viareggio degli anni Settanta, al bar Crispi, dove quattro giovani, tra cui Tito, giocando a carte, dopo aver amaramente constatato che “Il Sessantotto è finito”, decidono per la lotta armata, l’azione violenta, la latitanza. Si assiste dunque alla formazione del gruppo, alla definizione dei mezzi, dei fini, alla scelta dei membri e all’individuazione degli obiettivi. La narrazione non perde qui la sua cifra di leggerezza: Ravachol è un gruppo che impara il mestiere facendolo, e i membri da semplici ragazzi di periferia scolpiscono la loro nuova identità politica azione dopo azione, fallimenti, fughe rocambolesche, equivoci; ma rispetto agli anni dieci del 2000 di Marcello, la Storia dirompe, la materia degli eventi si fa tragica, le decisioni sono irreversibili, i destini si compiono inesorabili.

Marcello scrive così la sua Fantasima, traccia un percorso nella vita di Tito che culmina con il suo gesto più reale, effettivo: l’azione violenta, rischiarando così tutti gli eventi precedenti e mostrando una parabola di senso che non poteva che sfociare nel suo esito: quell’istante in cui un barlume di coscienza si accompagna all’azione e dice “Io sono questo”. Tito è identificato totalmente con quella decisione, e in quell’istante diventa se stesso.

Ma esiste un terzo piano in cui si insinuano dubbi su questa verità forse troppo romantica: il deus ex machina della vita di Marcello e di Tito ancora ci sfugge: chi muove Marcello? Cosa ha pensato e compiuto veramente Tito? Le vicende dei Ravachol si complicano e la figura di Tito si allontana nuovamente, a ricordare che la ricognizione biografica è atto impossibile; ma in questa disperata ricerca è Marcello a ritrovarsi, a ricordarsi, a capire dove si trova, cosa lo muove e da chi è mosso.

La ricreazione è finita è dunque un vero romanzo: c’è evoluzione, trasformazione reale del protagonista, assistiamo alla sua Bildung: se De Gaulle pronuncia le parole del titolo a scherno delle manifestazioni del Mai 68 in Francia, per Marcello si tratta della fine della propria dispersione e della propria tragica inconsistenza: attraverso la ricerca della verità di un altro si trova, si ricorda, riordina il proprio archivio interiore, scrive la sua Fantasima. “

I temi del romanzo sono principalmente due, prima separati e che poi si intrecceranno: la descrizione, dissacrante e ironica, dell’ambiente accademico ed il racconto, più denso e spesso intimista, di come nacquero i movimenti terroristici negli anni ’70.

Ora , tra l’Olimpo dei normalisti e gli inferi degli studenti comuni, esiste una categoria intermedia, i cosiddetti paranormalisti: si tratta per lo più do studenti liceali dai curriculum – loro direbbero curricula – eccellenti che hanno fatto l’esame per essere assunti nell’ Empireo della Normale, ma non sono risultati tra i pochissimi eletti, per cui cercano di espiare questa colpa originaria facendo una vita di studio claustrale e di dedizione supina alla causa universitaria. Durante una lezione è semplice distinguere i tre tipi di studenti: quelli che alzano la mano e fanno mille domande, talvolta anche intelligenti, sono i paranormalisti; quelli che non vengono, o vengono e dormono perché la sera prima erano impegnati a infliggere pratiche di nonnismo alle matricole, tanto poi prenderanno 30 e lode all’esame, sono i normalisti; tutti gli altri sono gli studenti comuni.

E’ solo un assaggio dello stile sarcastico di Ferrari che, più avanti, descrive il mondo della ricerca come un moderno medioevo tanto è stratificata di schiavitù e servilismi verso i baroni. Ci sono poi momenti decisamente spassosi come quelli relativi alla spiegazione del senso di scrivere un articolo accademico, dell’importanza delle note e della classificazione delle citazioni sulla base di amicizie e inimicizie o a quello divertente relativo alla preparazione del congresso di italianistica:

Tutti presi a pensare che l’ombelico del mondo fosse l’Italianistica Comparata, non avevamo dato peso al fatto che nella stessa settimana del congresso Bob Dylan avrebbe fatto cinque serate al Teatro Verdi di Pisa da 750 euro a biglietto, più una al centro sociale occupato Teatro Rossi Aperto, gratuita.

Diventa quindi problematico trovare alloggi disponibili per i congressisti, essendo quasi tutti gli alberghi occupati e getta nel panico Linda, l’organizzatrice, senonché Sacrosanti la contatta dicendole che all’Excelsior, alcune stanze prenotate per il raduno annuale di Filologia Romanza forse potrebbero essere disponibili:

“Forse ci lasciano le stanze che hanno riservato e spostano i loro ospiti altrove, ipotizzo.

“I filologi?”

“Eh, i filologi”. In fondo, penso, sono colleghi degli italianisti e fanno parte dello stesso dipartimento: potrebbero venirci incontro.

Senonché, mi spiga Linda, è più probabile che la Cina riconosca Taiwan, oppure (…) che pisani e livornesi facciano pace. E questo perché, dentro il dipartimento, filologi e letterati sono cartelli rivali.

Il romanzo passa quindi a raccontare la storia di Tito Sella e dell’ambiente storico nel quale è nata la brigata viareggina Ravachol (tutto di fantasia). Un gruppo di giovani di estrazioni diverse e che non voleva in fondo fare male, che sperava in un mondo più giusto per tutti e i cui membri si ribellavano all’idea della violenza considerando sufficienti le azioni dimostrative.

Divertente questo siparietto:

D’estate la rivoluzione non si fa. Di sicuro non in Italia, e soprattutto non in una località balneare. A Viareggio il direttore della Bastiglia avrebbe potuto dormire sonni tranquilli. I Ravachol continuarono a vedersi ogni tanto, al bar Crispi o in giro, molto di rado al loro covo in parrocchia.

Tito aveva studiato, era religioso e aveva letto molto sull’argomento. Per questo nei suoi scritti si trovano diversi parallelismi con il sacro. All’inizio sembra strano trovarli nei testi di un terrorista ma va considerato che si trattava di terroristi un po’ sui generis, benché sempre spinti dall’idea che la giustizia potesse farsi strada anche attraverso vie non consuete e non legali.
Il gruppo utilizza la parrocchia come copertura per avere i locali nei quali riunirsi e organizza le prime azioni.
In questa parte il racconto si fa serio e circostanziato, talvolta molto intimo. Si respira l’aria degli anni ’70, lo stile è completamente diverso in questa parte ma non perde in piacevolezza e interesse. In particolare l’autore porta il lettore nel sorgere della necessità di ribellarsi al sistema, non ai fini di un arricchimento collettivo ma semplicemente di giustizia sociale per tutti all’interno di un’ideologia anarco-marxista connotata da una sua originalità e anche da una notevole dose di improvvisazione. Le azioni si susseguono, tutte con esito fortunato. E’ interessante questa parte, anche per i diversi caratteri dei componenti della brigata, che devono trovare un minimo comun denominatore all’interno dei paletti che si sono posti. Alla fine di questa parabola Tito Sella sarà condannato all’ergastolo.

Il romanzo narra poi la vita del protagonista a Parigi dove si recherà per studiare l’archivio di Tito Sella ed il suo successivo rientro a casa. Le due storie (quella di Marcello Gori e di Tito Sella) un po’ alla volta si intrecciano, tra colpi di scena e stili diversi che si avvicendano tra loro in modo perfettamente equilibrato.

Chiudo, riportando un breve estratto della recensione di Antonio D’Orrico (“La Lettura”, 29 gennaio 2023”):


“ Il più bel romanzo italiano degli ultimi tempi, che dovrebbe essere primo in classifica se ci fosse una giustizia al mondo, si intitola La ricreazione è finita di Dario Ferrari, storia di Marcello Gori, 31 anni (nel 2017), viareggino, fuoricorsodella vita perché «un laureato in Lettere nel capitalismo neoliberista» non serve a niente. La sua generazione ha le canzoni degli 883 per bolla uterina; Gabriel Omar Batistuta, centravanti della Fiorentina, per mito calcistico e President-Arschloch, il gioco alcolico che finisce con il coma etilico, per passatempo serale. Marcello ha anche una fidanzata, Letizia, che, in controtendenza con il suo treno di vita da sfigato, è bella, ricca (suo padre si è regalato la Jaguar per il 60esimo compleanno), «centrata, solida, sana», ma è purtroppo convinta «che i testi di Fedez contengano una qualche forma di verità».

Per fortunose circostanze Marcello ottiene il dottorato dal professor Sacrosanti, il barone che gestisce la Facoltà di Lettere di Pisa «come se fosse la sua squadra del fantacalcio», ma è anche capace di incantare volando con le sue lezioni da De Lillo a Pirandello a Houellebecq. Sacrosanti è soprannominato «il Mourinho della letteratura italiana» e Marcello spera che, come l’immenso José riuscì nell’impresa impossibile di vincere la Champions coll’Inter, il prof trasformerà lui in uno studioso rispettabile.

Il ritratto che Ferrari fa del mondo universitario è esilarante. Grande è la meraviglia di Marcello nel notare che gli accademici, dotati di fama limitata al loro micro-campo di expertise, si sentono comunque delle rockstar e non riescono a capire perché il loro saggio La metrica nella poesia vernacolare italiana tra Ottocento e Novecento «ha venduto meno dell’ultimo Strega». Poi il Chiarissimo prof assegna a Marcello una ricerca sui lontanissimi (per quelli svezzati dagli 883) anni di piombo e in questo miracoloso romanzo cominciano a scendere lacrime e scorrere sangue.”

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi