Il bidello
di Pierantonio Pardi - giovedì 21 novembre 2024 ore 08:24
Giovanni Taddei
Il bidello
Eh sì, ad Elwood e Jake Blues, i mitici blues brothers, questo romanzo sarebbe senz’altro piaciuto, perché ha il ritmo indemoniato del rock and roll, ma, allo stesso tempo, le sfumature struggenti e malinconiche del blues e il linguaggio irriverente e sarcastico condito da poderose iniezioni di slang dei due funambolici fratelli.
Il plot in breve
Protagonista è il Bianchi, un anziano bidello alle prese con l'ultimo anno di lavoro che lo separa dalla pensione in una difficile scuola della profonda provincia toscana, frequentata da bimbi che provengono da ogni parte - economicamente povera - del mondo. Il Bianchi è un uomo scorbutico, solo e politicamente scorretto: la moglie lo ha lasciato da un anno e la figlia vive a Milano con il suo compagno. Il Bianchi ha un unico amico, il vecchio cane Dicche, a cui confida i suoi patemi e con cui ascolta blues, sua grande passione, coltivata sin dalla giovinezza. I nemici contro cui il Bianchi combatte ogni giorno, una battaglia senza quartiere nella scuola, sono quelli che lui definisce i pestiferi figliolotti, le maestre vipere e rospe, quel brodo del collega Gianni. L'epilogo della storia segna la redenzione del Bianchi, in modo tanto tragicomico quanto ricco di colpi di scena ed il tutto a ritmo di blues. Il testo, oltre a narrare la vicenda umana del Bianchi, solitario antieroe e peccatore, vuole offrire uno spaccato della scuola italiana contemporanea all'interno del Comprensorio del Cuoio, uno tra i più importanti distretti industriali della nazione. Il punto di vista del bidello che racconta la vita scolastica, in un dialetto rigidamente toscano, è una novità nel panorama narrativo in cui i protagonisti fino ad adesso hanno sempre fatto parte del corpo insegnante, si pensi a "Il Maestro di Vigevano" di Mastronardi , a "Il rosso ed il blu" di Lodoli, a "Fuori registro" di Starnone (che ha ispirato "La scuola", il film di Daniele Luchetti). Lo sguardo del bidello sulla vita scolastica è sì quello più umile nella scala gerarchica ma, proprio per questo motivo, è anche il più ampio, una sorta di visione grandangolare dal basso che tutto abbraccia e tutto svela.
Riporto per intero la recensione di Daniele Luti (da Alleo.it, 20 marzo 2023)
Giovanni Taddei è stato mio allievo, in quarta e in quinta Istituto Tecnico, in quel di San Miniato, il paese acrobatico, aereo, da me molto amato per i ricordi carducciani, (non tutti magari conoscono quel libro “scapigliato”, goliardico, modernissimo che si chiama appunto Le risorse di San Miniato e che per me è diventato una sorta di guida dell’anima perché scritto da un Giosue, rigorosamente senza accento come lo stesso Vate voleva, decisamente radicale e irriverente), per la giovane età che avevo io allora, quasi coetaneo di alcuni ripetenti storici, e per i numerosi amici che vi ho incontrato. Fra questi un professore grossetano, colto e intelligente, col quale condividevo l’amore per Bianciardi, l’autore della Vita agra, certo! ma anche del Lavoro culturale dove si parla di un bidello stalinista, Corinto, che qualche somiglianza col Bianchi, il protagonista del romanzo di Giovanni, ce l’ha eccome: scorbutico, ironico, utilizzatore eletto di uno splendido toscano, nemico di impiegati e piccolo borghesi: “Viene uno e dice che vuol fare il ragioniere. “Ora tu, caro ragioniere, al secondo piano, dove c’è la ragioneria, ci porti il sacco pieno di polvere di marmo. È chiaro?” Sai, la polvere di marmo è pesante e compatta, un sacco pieno sarà un quintale, forse un quintale e mezzo. Chi ce la fa diventa ragioniere, se no niente. Cosa sono questi ragionieri borghesi mezzeseghe, con certi toracini che sembrano quelli di un piccione?”. Tanto per fare un esempio di una personalità che, sono sicuro, tornerà in mente a chi leggerà il romanzo dopo aver dato un’occhiata alla recensione.
Insomma, una volta letto questo testo pieno d’argento vivo e di velocità, converrete con me che, per il dietro le quinte che vi ho rivelato e per quello che ho intenzione di aggiungere, non potevo non prendermi cura, in modo anche professionale, del Bidello, opera prima del mio antico ragazzo e spero inizio di una lunga attività scritturale.
La struttura narrativa è un capriccio architettonico fatto di fluvialità cinematografiche, fantasie pittoriche, passaggi repentini dalla orizzontalità romanica alle verticalità del gotico ,con qualche indugio barocco. Questo perché, solo in questo modo ,lo scrittore può costruire un gioco letterario basato su un’idea di comico che coniuga il caricaturale al paradosso, alla accelerazione espressiva che soli possono raccontare anime che sentono in modo profondo, quasi come un dovere, il loro bisogno di partecipare alla teatralità di strada, di vicolo, di piazzetta che è propria del mondo toscano e che è possibile riconoscere nella produzione, da Pratolini a Bilenchi a Cassola, tanto per fare qualche nome. Nel Bidello, certo, c’è dunque un mondo corale (le tante maestre, l’odiato Gianni, i bambini), ma il protagonista, il Bianchi, è carezzato, richiamato, rappresentato fino a diventare la grande madre, la matrioska capace di contenere ogni voce ogni dramma ogni contraddizione. È, nello stesso tempo, la storia e la sua giustificazione.
Il Bianchi ci appare, lo confermano le sue parole, i sentimenti esternati, l’idea che pare averne la voce narrante ( ma forse siamo in un tratto di ventriloquia narrativa), come un anziano aggressivo, scontento della vita, prigioniero di luoghi comuni, razzista, diffidente, nemico dunque di quel buonismo retorico, che è maschera ipocrita di più o meno individuabili sporcizie interiori, il travestimento che parrebbe indossare Gianni, il giovane bidello che, parla col bocchino impostato, l’occhio limpido volto verso il cielo e che sembra studiare da Santo. Ma noi lettori intuiamo che il protagonista, dietro il modo rude e schematico, dietro i luoghi comuni del cinismo contemporaneo o, se vogliamo, la patina che l’esistere ha lasciato nella coscienza, per le delusioni, i lutti, le umiliazioni subite, nasconde e libera altri caratteri, altre categorie che sono quelle che appartengono ai tempi storici e personali di un’altra Italia. Come se qualche tempesta interiore avesse la forza di riportare in superficie quei valori che possono essere sommersi, ma che non muoiono mai: la commozione, la solidarietà, la bontà di fondo.
Come ci dice Giorgio Caproni, il poeta è il minatore che scende nella sua caverna interiore e trova tesori che poi rende, con la qualità dei poeti, patrimonio di tutti gli esseri viventi.
Ecco. Il Bidello è un’opera divertente vivace, ironica con punte di sarcasmo. Anche per questi caratteri, ho gradito moltissimo la scelta del timbro linguistico. Un toscano gestito da chi conosce bene la lingua italiana e si può divertire in modo trasgressivo con un codice che, se non racconta i grigi e articolati scenari del pensiero complesso, “musica” però tutte le sfumature del vivere, la vita che ci lega ai quattro movimenti esistenziali che partoriscono sempre le sole piccole grandi felicità.
E adesso, per concludere, due assaggi dello stile narrativo di Giovanni, che giustamente Daniele Luti definisce “fluviale”.
Il racconto procede infatti come un flusso di coscienza inarrestabile con un miscuglio sapientemente dosato di vari registri linguistici che spaziano da uno slang che si diverte a coniare neologismi (s’azzipittavano, schiccolare, c’intrampolava …) a intermezzi descrittivi di spassosa comicità, come quando descrive la maestra Silvana:
(…) che per non far vedere che è di molto in su con l’età passa i pomeriggi a farsi tappare le rughe col cemento armato, appiccicare i capelli col mastice e pittarli col catrame perché gli son rimasti in capo quattro ciuffi quattro color del topo assassinato al depuratore del Cerri (…) dell’unghie ricostruite col marmo di Carrara …
Ma, accanto al tono scanzonato di certe descrizioni non mancano riflessioni serie sull’integrazione degli alunni stranieri, su quelli portatori di handicap, sulla mancanza di strutture, sui contrasti con i colleghi.
E’ divertente questa contrapposizione, di un’ironia caustica che vede il Bianchi rispondere al collega Gianni che così si era espresso riguardo al suo lavoro:
“Mi sento una persona fortunata a lavorare in una scuola che accoglie bambini di cinquantun etnie, a prestare il mio servizio ai figlioli di tutto il mondo, a interagire con tante culture, un’ esperienza che mi arricchisce dentro, che mi fa sentire una persona migliore …”
Ed ecco il commento del Bianchi:
(…) o bischero!!!, prima di tutto parla come tu mangi, e poi scusami, a pulire la pastasciutta e le carote spiaccicate per terra in mensa, ti senti una persona migliore?! A grattare la colla e i brillantini dai banche e dalle mattonelle, ti senti una persona migliore?!, a sturare i cessi merdosi, ti senti una persona migliore?! Te, pallino, te non tu l’hai mica capito che questo qui l’è un girone dell’inferno …
Insomma il Bianchi, che non è un tipo politicamente corretto sembra avercela con tutto e con tutti e sfoga il suo malumore con il cane Dicche che è una specie di alter ego, ma in fin dei conti ha un cuore d’oro ed è sempre disposto ad aiutare gli altri.
Poi c’è un colpo di scena nel finale che non vi svelerò, ma è collegato all’incipit del romanzo, dove troviamo il Bianchi steso per terra investito da un motorino. E, all’ultimo, dal suo letto d’ospedale il Bianchi incontrerà di nuovo Rosa, sua moglie, ma lo farà in circostanze davvero molto molto particolari…
L’autore
Giovanni Taddei, classe 1961, vive fino all'età di 28 anni a S. Croce sull'Arno (Pi). Nel 1989 si sposa e si trasferisce ad Empoli (Fi). Per 32 anni svolge il ruolo di amministratore in un'azienda che si occupa di turismo, poi dopo il covid con l’intero settore del turismo messo in crisi, da tour operator si è trasformato improvvisamente nel nuovo bidello delle scuole elementari di Santa Croce sull’Arno. Ha vinto con i suoi racconti il premio "Castelfiorentino", e il premio "Arno fiume di pensiero".
Andrea Giuntini e Andrea Mancini, due uomini di teatro, in varie occasioni, hanno messo in scena suoi racconti. Taddei ha in passato collaborato con due riviste, "Il Grandevetro" ed "Erba d'Arno".
Pierantonio Pardi