Stregati!
di Pierantonio Pardi - giovedì 20 giugno 2024 ore 08:00
Due pezzi da 90 sono quelli che andrò a raccontare in questo numero del mio blog “Le pregiate penne”. Due autori, Maurizio Maggiani e Sandro Veronesi che non hanno certo bisogno di presentazioni e che non avevo ancora inserito nel blog, proprio per questo motivo. Ma è venuto anche il loro momento. Sono due autori che seguo da tempo; Maggiani nel 1987 con “Il coraggio del pettirosso” vinse il Premio Viareggio e il Premio Campiello e con “Il viaggiatore notturno” nel 2005 ha vinto il Premio Strega; numerosi gli altri suoi titoli, “La regina disadorna”, “Meccanica celeste”, “Il romanzo della Nazione” etc…
In questo numero del blog, racconterò il suo ultimo nato “L’eterna gioventù” (Feltrinelli, 2021)
Perché ho intitolato questa presentazione “Stregati”?
Perché anche l’altro autore, Sandro Veronesi è un habitué dello Strega che ha vinto ben due volte, nel 2005 con “Caos calmo” e nel 2020 con l’acclamato e, a mio avviso, sopravvalutato “Colibrì”. Numerose e di grande livello le sue altre pubblicazioni, tra cui, solo per citarne alcune, “Gli sfiorati”, “Brucia Troia”, “Terre rare” etc…
Di lui racconterò un romanzo poco conosciuto, ma di grande impatto emotivo ed esistenziale “La forza del passato” (Bompiani, 2000) vincitore del Premio Campiello 2000 e del Premio Viareggio-Repaci 2000.
Maurizio Maggiani
L’eterna gioventù
Iniziamo, come di consueto, dalla quarta di copertina:
Questa è una storia leggendaria, il mito di una dinastia di ribelli ostinati in un sogno, perseveranti nel costruirlo a dispetto di ogni sconfitta del presente. Una storia di eterna rivolta, di molte vite e gesta, vite che non hanno avuto voce e vite la cui alta voce è stata dimenticata. Una storia che attraversa epoche e oceani e continenti, guerre e rivoluzioni, da Genova a New York a San Pietroburgo, da Domokos a Sidone.
C'è fra loro un personaggio di pura leggenda, una donna nata nel 1901, “l'essere umano più antico del mondo”, lei conosce ogni storia e ogni storia ha vissuto, è la Canarina. Chiamavano così le giovani donne che nella Grande Guerra lavoravano nell'industria bellica al munizionamento, perché il tritolo tinteggiava di giallo il viso e le mani. Aveva sedici anni la Canarina, quando nascondeva sotto le unghie dei piedi qualche grano di quel composto micidiale, sottraendo ogni giorno un po' di guerra alla guerra.
È suo nipote l'Artista a dipanare la Storia e le storie attraverso una progenie di figli unici che costruiscono una dolcissima elegia eroica, sfiorando le vite di Garibaldi e Anita, Antonio Meucci, Emma Goldman, Gaetano Bresci, Carlo Tresca, Sandro Pertini e tanti altri ancora.
Maurizio Maggiani scrive il grande romanzo della rivolta libertaria, dedicandolo all'oggi, ai molti che vivono senza un mito di identità collettiva che li affratelli, ma credono ancora alla costruzione di un sogno di promettente bellezza. È un incitamento appassionato a partecipare della leggenda, a costruirne nuovi capitoli, a sentirsene eredi.
Un romanzo epico e corale che mi ha ricordato, per le tematiche e il sistema di personaggi che vi viene descritto “Piazza d’Italia”, il primo romanzo di Antonio Tabucchi che racconta la storia di un borgo toscano e di una famiglia di anarchici ribelli per temperamento e tradizione nell’arco di tre generazioni, incarnate in tre dei personaggi dai nomi emblematici – Garibaldo, Quarto e Volturno – e nelle donne combattive e coraggiose che li affiancano; un’ antistoria d’Italia dalla parte dei perdenti, una fiaba popolare pervasa dal senso, arcano ma non oscuro, della fragilità della vita.
Tematiche, queste, che troveremo anche nel romanzo di Maggiani.
Il romanzo ha un incipit strepitoso:
Nel fosco fin del secolo morente un vecchio garibaldino si lasciò alle spalle l’ultima rivoluzione e prese la strada per tornare a casa. Si tolse la camicia rossa con i galloni da maggiore e si vestì da straccione, a Salonicco trovò un imbarco da mozzo di sottocoperta su un vapore che portava mille pecore vive al porto di Genova. Tenne a bada le pecore per una settimana, sbarcò, si fece pagare e si ricordò che non sapeva più dov’era casa sua, allora riprese dalla giacca la camicia rossa e salì sul primo tranvai per Quarto. A Quarto si cacciò in acqua vestito com’era e nuotò verso il largo finché ne ebbe la forza, poi si lasciò andare, perché aveva vissuto tutto quello che c’era da vivere e non gli importava di niente, se non di finire dove aveva cominciato, nell’acqua da dove il Generale Garibaldi l’aveva pescato e portato con sé nella più gloriosa di tutte le rivoluzioni.
Più avanti verremo a scoprire che quel garibaldino nato Armando e universalmente conosciuto come Garibaldo era il bisnonno del narratore che si rivela come l’ Artista, narratore onnisciente di tutta la storia che sostiene di aver sottomano il va e vieni delle generazioni e in particolare di sua nonna Anita conosciuta da tutti come la Canarina.
L’Artista è Saverio, figlio di Sirio e Chiara, figli a loro volta di Anita (la canarina) e Piero Pierino (detto l’Ancisa)
Bene ha fatto Maggiani a presentare, prima ancora della prima pagina, la genealogia, con i nomi dei protagonisti, perché, altrimenti, nel proseguo della storia, il lettore potrebbe smarrirsi, perché le generazioni si tramandano un anello di cambiamento che poi altro non è che la trama di un Paese in trasformazione, descritta attraverso i suoi protagonisti, dal giovanissimo Armando (il Garibaldo) che partecipa tredicenne alla spedizione dei Mille al Garibaldo che, in età matura, incontra nel porto di Genova la principessa Esfir, fuggita dalla Russia zarista, e la sposa e da questa unione nascerà Anita detta la Canarina, personaggio chiave di questo romanzo. Vita e morte si intrecciano continuamente in queste pagine; infatti Sirio, figlio della Canarina e di Piero Pierino detto l’Ancisa, morirà in un incidente in miniera e il funerale proletario segna anche la fine della storia della miniera e morirà giovane anche Mauri, figlio di Saverio detto l’Artista e Angela di modo che la trama dei racconti sulle storie delle diverse generazioni viene assicurata dall’Artista, ma soprattutto dalla Canarina
Venne poi il regicidio di Gaetano Bresci, anarchico proveniente dalla comunità di Paterson. La leggenda racconta che sia stato Garibaldo ad accoglierlo nel porto di Genova e ad insegnargli l’uso delle armi prima dell’attentato. Dopo il processo a Bresci, il Garibaldo scompare, per non far più ritorno. Ecco come viene raccontato il processo a Bresci:
Ci fu un processo. In mite luce Gaetano Bresci si sottopose al giudizio, tutto quello che ebbe da dichiarare fu, io non ho ucciso Umberto, io ho ucciso il re, ho ucciso un principio. Perché la pena di morte era stata abolita, dallo stesso governo della sinistra che aveva dato la morte agli affamati di Sicilia, fu condannato all’ergastolo, i primi sette anni da scontare in totale isolamento, incatenato e a pane e acqua nel carcere di Santo Stefano alle isole ponziane.
Arriva la Prima guerra mondiale ed il giovane carbune’, Piero l’Anciua (l’acciuga), impara a scrivere dalla principessa Esfir, sino ad inviare una lettera scritta di suo pugno al fratello al fronte. Risponde il tenente Alessandro Pertini, annunciandone la morte e dichiarando che ben altra sorte avrebbe meritato il suo valore. Prima di partire per il fronte, Piero incontra gli occhi di Anita, ed è subito amore. Esfir, intanto, con un viaggio avventuroso, arriva a Pietroburgo in tempo per partecipare alla Rivoluzione d’ottobre. Passeranno tre anni prima di ricevere una lettera, nella quale Esfir comunicava che ora viveva presso il monastero di Solovski. Morirono in quel luogo più di diecimila oppositori della rivoluzione, ma non fu mai chiara la sorte della principessa Esfir.
Anita e Piero, che aveva combattuto nello stesso battaglione del fratello sotto la guida di Sandro Pertini, si incontrano dopo la guerra, per sempre. Nei primi tumulti fascisti Piero viene ammazzato durante una festa comunista. Si scivolava rapidamente verso la dittatura. Sandro Pertini è presente a quei funerali e stringe in un abbraccio Anita. La Canarina partì, come le aveva chiesta sua madre Esfir nell’ultima lettera, alla ricerca di Emma, amica della principessa. E si salvò miracolosamente dal naufragio del piroscafo Principessa Mafalda, che fece più di 500 vittime al largo di Rio de Janeiro. Comincia un viaggio per l’intero Sudamerica alla ricerca di Emma. La tappa finale sono gli Stati Uniti, dove Anita resterà a lungo, conoscendo la comunità newyorkese degli anarchici e dei mazziniani. Nel 1937 l’anarchico Carlo Tresca viene assassinato per mano della mafia e per ordine di Benito Mussolini.
Anche nella Seconda guerra mondiale il racconto dell’eterna gioventù prosegue. Sirio, il Comandante Bruto, guida nel 1944 la sua banda partigiana per liberare un treno di prigionieri dei nazisti: l’azione è un successo formidabile. Tutti i prigionieri vengono liberati mentre muoiono dodici tedeschi ed otto sono fatti prigionieri. Intanto, il tenente Sandro Pertini, nelle carceri fasciste, scrive alla madre che ci sono momenti in cui occorre battersi non solo per paura, ma anche per speranza. La guerra di liberazione non conduce a tutti i risultati sperati. Ancora una volta il sol dell’avvenire è rimandato a tempi migliori. L’Artista, stanco di serigrafie, si mette a falsificare dollari. Viene scoperto, e sconta sette anni nelle carceri di Marassi. Quando esce, all’Artista tocca la ventura di costruire una pipa per Sandro Pertini, diventato presidente della Repubblica. Un altro oggetto costruisce un ponte tra generazioni e persone, in quel disegno del destino che forma il racconto civile di una nazione.
La storia del nostro romanzo finisce, in qualche modo simbolicamente, con l’immagine del Presidente Sandro Pertini chino nella inutile attesa del salvataggio di Alfredino nel pozzo di Vermicino. In quella fossa sono finite tante speranze e tante illusioni. Resta solo Saverio il Menin, il ragazzino, di fianco alla sua bisnonna Anita, mentre guardano in televisione, attoniti, le immagini del crollo del Ponte Morandi. Il giorno dopo, Anita muore.
E di nuovo i fatti del secolo le vite delle persone si incrociano, in un beffardo destino che ci accompagna. (Pietro Spirito / Gente e territorio)
La rivolta libertaria e suoi appassionati protagonisti in un grande romanzo della nazione, questo è L’eterna gioventù. Un libro anarchico, un libro socialista. Maggiani in queste pagine ci restituisce la trama di un’Italia che non c’è più e si rivolge all’Italia di domani, invitando ognuno di noi a combattere per la libertà, e considerarla sempre l’unica legge che batte nel nostro cuore.
Sandro Veronesi
La forza del passato
Dalla quarta di copertina
A Roma un tranquillo quarantenne che si guadagna da vivere scrivendo libri per ragazzi viene avvicinato da uno strano tassista, che lo convince ad ascoltare una rivelazione "pazzesca": suo padre, morto da poco, non sarebbe stato il generale democristiano e bigotto che lui aveva sempre creduto, ma una spia russa al servizio del KGB. Da questo momento lo scudo protettivo che il protagonista aveva tenacemente costruito attorno a sé e alla sua famiglia comincia a sgretolarsi. Crollata anche l'ultima illusione, quella di una pace coniugale perseguita per anni, lo scrittore scopre - o meglio, dubita, senza averne la certezza - d'essere sempre stato diverso da come credeva di essere, con un padre diverso (una spia? ), una moglie diversa (infedele?), e un diverso passato con cui fare i conti. Come nessun altro scrittore italiano di oggi, Sandro Veronesi sa allestire una irresistibile macchina narrativa - una macchina fatta di colpi di scena spettacolare, di movenze da romanzo giallo, di sipari comico-grotteschi sulla "incredibile" Italia di oggi - e, insieme, suggerire al meravigliato lettore che la storia che sta leggendo di null'altro parla, se non della sua vita più profonda.
Ed ecco, in breve, la storia nell’ottima sintesi che ne fa Ivana Daccò (Contemporanei, Narrativa, Recensioni, 14 ottobre 2014)
La storia: Gianni Orzan, scrittore di libri per ragazzi, inventore di un personaggio amato dai bambini di nome Pizzano Pizza (e questo nome, va detto, è una seria caduta!) la moglie Anna e un figlio, Francesco, di otto anni, conducono una tranquilla vita piccolo borghese. Sullo sfondo, non veduta, la famiglia d’origine di lui, con padre generale dei carabinieri e fervente democristiano, che al mattino andava alla messa con Andreotti e si scontrava con il figlio sinistrorso.
La storia inizia nel momento in cui il padre dello scrittore, il generale dei carabinieri Maurizio Orzan, è da poco morto e il figlio è alle prese con un tepido lutto, dato che non aveva mai avuto grandi legami con il padre, per diversità di idee politiche e per la rigidità di quest’ultimo.
Mentre il nostro si sta interrogando sul proprio lutto, nella sua vita accadono dei fatti, meglio, si rivelano dei fatti, in un crescendo che va dalla scoperta di rapporti di amicizia che non erano tali, di un’immagine di sé che all’esterno risulta totalmente diversa da quella da lui immaginata, alla grande rivelazione della verità sul padre e su chi era stato, che sconvolgono non solo l’immagine che il figlio ne aveva ma richiedono una rivisitazione di tutta una storia di vita.
Il deus ex machina che provocherà questa rivoluzione è un vecchio amico del padre (meglio: una strana persona che si dichiara tale e la cui identità resta sempre incerta o, quantomeno, multipla), persona dall’aspetto e dal carattere che mai il figlio avrebbe potuto associare al vecchio generale, e che si infila nella vita del protagonista divenendone per un verso un vero e proprio tormentatore e per altro verso un sostegno quando le cose si complicheranno e le certezze di Gianni Orzan, su di sé e sulla propria serenità familiare, rischieranno di crollare.
In breve: il padre di Gianni, il severo generale democristiano, era un agente sotto copertura del KGB, come il suo amico Gianni Bogliasco.
Ora, per conoscere i modi e il senso di questa copertura, bisognerà leggere il libro, il cui nodo centrale sarà la progressiva presa di coscienza da parte del protagonista primariamente di sé e del suo rapporto con gli altri; il lettore alla fine avrà il dubbio se la storia del padre sia vera o falsa e Veronesi non ce lo svela, sfiorando il giallo, anche se in fondo un giallo non è.
C’è da dire, a questo proposito che Veronesi, più che investigare sulla storia del padre, è interessato alla crisi del figlio, alla sua vita interiore, apparentemente priva di ombre:
(…) Quell’uomo sono io. Ma sono anche il figlio che non è andato d’accordo con il padre, naturalmente per colpa del padre, e che non si è mai domandato chi fosse veramente il padre. Sono il marito che si è sforzato di non tradire la moglie, come se al suo matrimonio potesse accadere soltanto quello, e non si è accorto che la moglie lo tradiva. Sono il fratello che ha criticato la sorella, le idee politiche della sorella, le amicizie della sorella, i fidanzati della sorella, il marito della sorella, convinto di avere sempre ragione, e ora non fa una vita diversa dalla sorella. Sono lo zio di tre nipotini che hanno soggezione di lui. Sono l’uomo che alle cene racconta sempre le stesse cose (…)
E questa feroce e ironica autocritica, alla fine, riguarderà tutte le aree della sua vita, da quella professionale, di cui riconoscerà le ambizioni taciute prima di tutto a se stesso e fallite, a quella delle relazioni, a quella familiare che costituiva per lui un fondamento senza possibilità di crisi alcuna, dentro regole di vita che sarebbero dovute bastare da sole a proteggerla. Ed è proprio alla fine del romanzo che il personaggio si lascia andare ai sentimenti e a comportamenti nei quali, in precedenza, si sarebbe mai riconosciuto.
E’ una storia originale, ricca di colpi di scena, questa che ci racconta Veronesi, scritta in modo convincente e resa fluida grazie ad una tecnica narrativa che trae forza dalla narrazione in prima persona. L’espediente narrativo è semplice e micidiale allo stesso tempo: una rivelazione improvvisa e sorprendente riguardo al padre, darà vita, in un rapporto di inspiegabile casualità, a tante altre rivelazioni grandi e piccole, dal tradimento della moglie ai difetti che Gianni non si era mai riconosciuto. C’è inoltre un sapiente dosaggio di grandi e piccoli colpi di scena, l’inserto studiato di varie storie collaterali (lo scacchista Victor Balanda!), le numerose citazioni cinematografiche (il Rugantino interpretato da Celentano)…
La vera cifra del romanzo potrebbe essere condensata nella frase “niente è come sembra”; infatti Gianni, oltre a scoprire di aver avuto un padre ufficiale del KGB ed una moglie infedele, viene a conoscenza di tante e piccole cose, come ad esempio accorgersi di sputare mentre parla, di assumere ogni tanto quell’inflessione milanese pedante e noiosa, di aver regalato ad una donna con il figlio in coma un assegno milionario, vinto ad un premio letterario, e di essersi dimenticato di girarlo, di non essersi accorto che, origliando dal citofono, poteva sentire i propri amici, appena usciti da casa sua, dopo una apparentemente piacevole serata, criticare in maniera inaspettata e violenta lui stesso, sua moglie, suo figlio …
Scrive Emanuele Di Marco su “La recherche.it”:
(…) il succo della vicenda è tutto in questa maturazione prima quasi inconsapevole, vissuta e sofferta ben più avvertitamente da parte del protagonista (ma mai descritta in maniera drammatica, semmai grottesca) che comprende e si rafforza nella convinzione del fatto che siamo tutti agiti, che la realtà è spesso molto differente dall’apparenza, che quello che siamo davvero in fondo non lo sa nessuno. Purtuttavia, nel crollo delle convinzioni che credeva assodate, alla fine Gianni potrà capire chi è veramente lui stesso e, conscio dei propri limiti e dei propri difetti, deciderà di perdonare la moglie e di far propria la massima dell’imperatore del Giappone: “Che ognuno faccia quel che deve. Che la vita continui normalmente.” (…) Ma, al di là dell’esegesi di un testo senz’altro interessante e accattivante. Oltre allo stesso indimenticabile omaggio fatto a Pasolini soprattutto con il titolo del libro e con la lunga citazione de La Ricotta, oltre il commovente e sofferto accenno ai “delitti italiani”, rimane l’importanza di quella che è una riflessione sui rapporti padre – figlio, capace di evocare inaspettatamente, una risonanza anche personale.
Concludo, riportando questa divertente recensione di Deborah Nardone (https/instagram.com/recensioniluielei):
Il protagonista per tutta la sua esistenza ha vissuto su terreni sicuri, ha ricercato con minuziosa precisione la tranquillità. Ha evitato con destrezza ed abilità qualsiasi situazione scomoda. Ma con la stessa destrezza la realtà dei fatti lo ha scovato e gli ha sbattuto in faccia la verità. Suo padre non era un fascista, sua moglie non gli è stata fedele, qualcuno si è accorto della poca originalità dei suoi libri e forse la cosa più sconvolgente di tutte, anche lui prova attrazione per altre donne. Tutto questo viene raccontato dal punto di vista del protagonista con un’ironia elegante e mai volgare. Una scrittura davvero coinvolgente, quella di Veronesi, che dipinge personaggi realistici in cui è molto facile identificarsi. Una menzione speciale merita il finto tassista, anche lui di nome Gianni: sembra quasi di averlo già visto da qualche parte. Un uomo che potrà anche essere un po’ rozzo di modi ma che ha un mondo interiore ricchissimo. L’autore lo ha reso l’emblema della vita del protagonista, personificando un’apparenza che ad un certo punto crolla e rivela ben altro. Arrivati alla conclusione del romanzo si ha l’assoluta certezza che la vicenda tragicomica che abbiamo letto sia una grande metafora sulla vita, un piacevolissimo mezzo che tra una risata e una riflessione lascia un importante messaggio al lettore.
Da questo romanzo è stato tratto l’omonimo film La forza del passato
Diretto da Piergiorgio Gay con interpreti Sergio Rubini (Gianni Orzan), Bruno Ganz (Bogliasco), Sandra Ceccarelli (Anna Orzan) e Mariangela D’Abbraccio (Madre di Matteo)
Pierantonio Pardi