I diversamente italiani per le medaglie di Mameli
di Franco Bonciani - giovedì 18 agosto 2016 ore 19:28
Le italianissime ragazze del Setterosa si giocano la finale per l’oro olimpico. Fra loro non ci sono le diversamente italiane, quelle di comodo, a cui troppo spesso si ricorre negli sport di squadra. Naturalizzate e naturalizzati di varie provenienze, e non solo nelle nazionali italiane.
Le tante medaglie vinte finora hanno le facce di chi ha imparato lo sport ed è cresciuto allenandosi duramente seguendo i maestri dei nostri impianti sportivi.
Questi volti sono l’espressione della nostra scuola sportiva, del valore dei nostri tecnici e dell’impegno delle società che li hanno fatti diventare campioni e campionesse con cura, passione, pazienza.
Sono le donne e gli uomini che in questi giorni ci fanno sentire come italiani, una volta tanto, uniti e non divisi dalla politica, dagli interessi, dal campanile.
Italiane ed italiani. Dietro ai loro successi c’è tantissimo lavoro, ed una cultura dello sport che costa fatica ma regala gioie ed emozioni vere. Magari fra questi si troveranno anche cognomi che non sono più Rossi o Bianchi, Esposito o Brambilla: ci sono, e saranno sempre di più, italiani nuovi, con pelle e nomi diversi, e va bene. E’ il mondo che gira così.
Nello sport, quando si gareggia e gioca per la nazionale, poche palle: si va alla guerra contro lo straniero. Una guerra dove non ci saranno morti, ma solo vincitori e sconfitti, che poi lo sconfitto ci può riprovare e magari migliorarsi e vincere la volta dopo. E’ sicuramente la più bella delle guerre possibili, ma di guerra si tratta.
“Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte”. Si pretende che i nostri lo cantino, con convinzione., ed è anche giusto. “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamo’”.
E ditemi com’è possibile che un brasiliano, o un argentino, o un francese o qualunque altro diversamente italiano sia pronto a “morire” perché l’Italia chiamò.
Devi esserci nato e comunque cresciuto, devi aver vissuto qui il tuo sport, devi parlare questa lingua, italiano è chi italiano parla. E parla anche la lingua del corpo, con la tecnica che gli è stata insegnata e la sensibilità conquistata per compiere un gesto di valore, fin dai primi passi.
Sono troppi i naturalizzati nelle squadre nazionali, e non solo nel calcio, che comunque è lo sport con più seguito ed anche il più devastato da orde di procuratori che importano merce umana giovanissima ed affamata alla ricerca della botta di culo.
Non sono “soldati” italiani, sono mercenari. Che poi se ne tornano a casina loro.
Facciamoci in casa i nostri atleti, pensiamo al valore più alto dello sport, che è quello dell’apprendimento e della disciplina, della conoscenza e rispetto delle regole, della crescita e del miglioramento. Dell’impegno assiduo, del lavoro che paga.
Solo se si lavora sulla formazione si hanno effetti permanenti nella crescita di un movimento. Si fanno crescere tecnici, dirigenti e atleti. E magari si riesce a compiere ancora il miracolo di Davide contro Golia, l’ingegno italiano che piega la forza del “nemico”.
Perché se si fa così si lavora per costruire, per il futuro, non solo in ambito sportivo. Altrimenti, siamo allo sport del gratta e vinci, ma non è detto che vada bene. Soprattutto, non lo percepiamo come un valore, e non dura.
Franco Bonciani