Questo sito contribuisce alla audience di 
QUI quotidiano online.  
Percorso semplificato Aggiornato alle 19:15 METEO:VOLTERRA9°  QuiNews.net
Qui News volterra, Cronaca, Sport, Notizie Locali volterra
sabato 14 dicembre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

Definizioni 4

di Libero Venturi - domenica 05 gennaio 2020 ore 07:30

Le Rose inerti

Si parla delle famose rose che non colsi? Della bella rosa del giardino da cogliere, fanciulle, mentre è più fiorita? O si deve pensare nominalmente, simbolicamente e languidamente che una rosa, è una rosa, è una rosa? Niente di tutto questo: trattasi di un centro di riciclaggio e vendita di sabbia, ghiaia e altri materiali inerti, sito lungo la via dello Scolmatore, vicino alla discarica. Perché Le Rose è un cognome e a questo mondo inerte resta poca poesia. E sì che dai diamanti non nasce niente e dal letame nascono i fior.

L’amore davvero

Anche noi guardiamo, in occasione del Natale, “Love actually”. Quest’anno l’hanno dato pure in tivvù. E anche se probabilmente la lingua inglese o quantomeno il film ci gioca con questo doppio senso, actually non vuol dire “attualmente”, ma “per davvero”. Il che rende la definizione di amore ancora più impegnativa, se non fosse che è Natale. Il film ha 17 anni e noi ci addormentiamo sempre un po’ prima. Ci sono vari episodi in qualche modo concatenati tra loro. In uno di questi Hugh Grant fa il Primo Ministro inglese, neo eletto che, per diverse ragioni, prende le distanze non dall’Europa, ma dagli Stati Uniti e dal suo invadente e antipatico presidente. Emma Thompson è sua sorella, sposata nel film con Alan Rickman che ha un cedimento cornificatorio con l’avvenente segretaria. Liam Neeson è un vedovo inconsolabile. Colin Firth uno scrittore sfigato. In un altro episodio c’è un pur casto triangolo amoroso: la bella Keira Knightley, fresca sposa, suo marito e l’amico del marito, innamorato perso di lei. Un classico. L’innamorato per Natale si presenta alla porta della sposina fingendosi un cantante di strada e le dichiara il suo amore impossibile, non a parole, ma con una serie di cartelli perché, come è scritto su uno di questi, a Natale si deve dire la verità. Boris Johnson, in arte Bojo, ha copiato questa scena per la sua recente e vincente campagna elettorale e in uno spot, purtroppo efficace, si presenta pure lui alla porta come cantante di strada per chiedere il voto e la conferma della Brexit. Non dice la verità, ma è sufficientemente istrione da risultare credibile per la politica attuale. E così è stato. Hugh Grant, contrario alla Brexit, è andato su tutte le furie. Alla fine l’innamorato del film non avrà soddisfazione, ma Bojo sì e l’Inghilterra uscirà dall’Europa. La politica è difficile da comprendere, quasi quanto l’amore. Per non parlare della vita. Giancarlo, un amico marchigiano, l’aveva già capito tanti anni fa e infatti studiava da ingegnere. Quarant’anni or sono, al campeggio a Donoratico, in una notte stellata, ce lo disse: “la vita è tutta un casino incasinato”. La più efficace definizione che sia mai stata data. L’accosterei all’amore e alla politica actually.

Operai

Un amico e compagno ex piaggista, sopravvissuto nel terribile e mortificante tunnel degli esodati forneriani da cui forse uscirà a luglio se resta “quota cento”, mi ha mandato un accorato, quanto sconsolato, appello. Sì, Libero, bravino, carine le cose che scrivi, mi ha detto, -che se mi offendeva la mamma non so se era peggio- però dovresti parlare della precarizzazione del rapporto di lavoro, da cui derivano, se non tutti, tanti dei nostri mali. Da quando è stato cancellato l’articolo 18 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori -e si capiva che del misfatto mi additava a correo- non c’è stato più bene. Mai stato renziano, gli ho subito risposto, mettendomi sulla difensiva, ma purtroppo ha abbastanza ragione. L’articolo 18, che impediva il licenziamento arbitrario, senza “giusta causa”, non era un tabù, ma un simbolo sì. E con i simboli non si scherza. Simbolo significa ciò che unisce, contrapposto a diavolo che è ciò che divide. E conviene andarci piano ad evocare il diavolo che poi tende fatalmente a impossessarsi di noi. È vero che per le cosiddette “partite iva”, lavoratori in prevalenza giovani, l’articolo 18 non valeva. Io ad esempio ho due figli: uno è una partita iva e l’altro un lavoratore dipendente. Avere indebolito i diritti del dipendente, non è stato di alcun aiuto per il fratello lavoratore autonomo. Anzi, come avrebbe detto il buon Manzoni, “i fratelli hanno ucciso i fratelli: questa orrenda novella vi do”. Invece di smantellare un presidio simbolico, ma anche reale, contro l’arbitrio padronale si poteva trattare qualcos’altro con Confindustria & Company. La riduzione del cuneo fiscale ad esempio: minor costo del lavoro, più soldi in tasca ai lavoratori. Meglio no? Però al mio amico e compagno piaggista bisogna che ricordi ciò che lui in realtà conosce meglio di me per averlo vissuto: l’articolo 18 vigeva anche quando i lavoratori alla Piaggio, da dieci mila che erano, sono stati ridotti a tre mila. Purtroppo nemmeno i simboli sono in grado di fermare crisi e trasformazioni economiche. Di arrestare cambiamenti o catastrofi. Quantunque, da operaio, il mio amico esprime un punto di vista a cui non avevo pensato: con l’articolo 18 se i lavoratori chiedevano aumenti o progressi vari, il padrone, non potendo licenziare, si ingegnava a introdurre a propria volta miglioramenti per compensare l’aumento dei costi prodotto dalle rivendicazioni. Oggi la soluzione più facile è mandare a casa, dismettere e ciao. Quindi la rigidità e l’impegno dell’articolo 18 servivano anche ai datori di lavoro.

Sono vissuto in un’epoca che Pontedera si considerava città operaia e industriale: tutti avevamo uno o più familiari, impiegati alla Piaggio. Il mio babbo c’entrò giovane e c’è andato in pensione. La Piaggio era croce e delizia, odio e amore, sofferenza e riscatto, mortificazione e orgoglio, rivendicazione e appartenenza. E i nostri operai, metalmeccanici e metà contadini, erano i più combattivi, i migliori. Questa era la nostra città, prima dell’avvento dei servizi, del terziario e del commercio. Oggi non è più così, il peso della classe operaia nella società è diminuito, fin quasi ad annullarsi, qui e altrove. E molti operai votano Lega e pensano a destra. Altri sono radicalizzati in una sinistra estrema e sterile. Il tema del lavoro in generale e quello manifatturiero in particolare, hanno perso di centralità. E il disimpegno che ne deriva è la vera precarietà del lavoro che il compagno ex piaggista avverte e denuncia. E di cui anch’io sento il rimpianto. Come di un grande vuoto. Pontedera, città ex operaia.

Tasse di scopo

Il fiero Ministro della Pubblica Istruzione Fioramonti si è dimesso. È già stato detto. Chiedeva tre miliardi per scuola, università e ricerca -e saddio se ce n’era bisogno- ma ne ha ricevuti solo due. Per far quadrare i conti, in relazione alla sua richiesta, aveva proposto minitasse di scopo: tassare merendine, cibi e bevande con eccesso di zuccheri e intrugli vari. A me zucchero e sale piacciono perché di qualcosa bisogna pur vivere e morire, ma le merendine mi fanno schifo. Comunque era per fare cassa ed educare ad una corretta alimentazione, prendendo così due piccioni con una fava e poi, magari, tassare pure piccioni e fave. Comunque la proposta non è stata accettata, i miliardi disponibili sono rimasti due e il Ministro ha sbattuto la porta. Ma allora perché, in alternativa, non proporre un’altra tassa, forse più efficace, anche in senso educativo? Quella sulle cazzate che in Italia si sprecano in quantità industriale. Da parte delle forze di opposizione, Salvini, Meloni e Berlusconi che, pur in declino, ne detiene il primato, ma anche al governo non scherzano. E mica solo in politica, anche quelle sparate dai media e, soprattutto, quelle diffuse in rete sui social. L’Italia detiene il primato, è un paese di eccellenza quanto a cazzate, ne sono quasi certo. Potrebbe funzionare così: si costituisce un organismo terzo, imparziale, di umoristi e comici che oggi abbondano in politica e in società, la “Corte dei Conti delle Cazzate” che giudica quando ne vengono dette o fatte di rilievo. E dato che, secondo la Costituzione, tutti siamo tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della nostra capacità contributiva, essendo il sistema tributario informato a criteri di progressività, potrebbe stabilirsi una doppia proporzionalità, sia per il livello della cazzata che per quello del reddito di ciascuno. Insomma chi più le spara grosse più paga, però in relazione alle proprie possibilità. Uno zero virgola di centesimo a cazzata, insieme alla lotta all’evasione fiscale -purché anche questa non resti una cazzata- rimetterebbero in pari il debito pubblico. Già su queste che scrivo ci si aprirebbe un tesoretto. E siamo solo all’inizio del 2020. Buona domenica, buona fortuna e, già che ci siamo, buona Epifania. Che tutte le feste le porta via.

Pontedera, 5 Gennaio 2020

Libero Venturi

Articoli dal Blog “Pensieri della domenica” di Libero Venturi