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martedì 12 novembre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: Sabato

di Libero Venturi - domenica 11 novembre 2018 ore 07:30

Si è fatta notte, anzi è già domani, è Sabato. Da quando sono in pensione e non faccio più nulla, tendo a fare sempre meno. Scrivo e non leggo, ad esempio. Il Sabato poi vorrei essere ebreo. Dico davvero. Ammiro questa cosa di osservare lo Shabbat, la festa del riposo. Perché anche a non fare nulla ci si stanca un casino e c’è bisogno di riposo. Shabbat letteralmente significa “smettere” e la sua radice potrebbe venire da “sette”. Il settimo giorno anche Dio, dopo la creazione, si riposò o smise il proprio lavoro -per i teologi fa differenza- e sembra che già con le divinità babilonesi fosse successo qualcosa del genere. Per la legge ebraica il giorno inizia con il tramonto. E questo è perfetto per tutti i malinconici. Si evitano anche le confusioni tra le albe e i tramonti che inducono spesso in errori di prospettiva. L’alba fa parte di un giorno iniziato già prima, con il sole morente. Più in sintonia con il ciclo della vita e della morte. Così per gli ebrei il settimo giorno viene di Sabato, perché la settimana inizia di Domenica. E il Sabato si devono solo accendere due candele, recitare testi sacri però su una coppa di vino, che va anche bene, pregare il Signore e leggere la Torah, che è la Genesi della Bibbia, un racconto fantastico anche per noi miscredenti. E per il resto non fare un gioioso cazzo di niente. Tengo ‘na voglia, ‘na voglia ‘e fa’... Niente!

Durante lo Shabbat ci sono 39 cose proibite per il Talmud, uno dei testi sacri dell’ebraismo, tra cui cucinare, lavare e scrivere, perfino dividere due fili per tutti quelli che proprio ne avessero intenzione. Nemmeno si può dare l’ultima mano per terminare un lavoro e trasportare al di fuori della propria abitazione. Neanche fare viaggi più lunghi di qualche chilometro oltre la propria città. Quindi meglio restare in casa, senza andare alla Coop per evitare di rompersi i coglioni e infrangere le sacre regole del non fare. “Non fare” che in Italia, in compenso, è una regola che vale per tutti gli altri giorni e costa tantissimo, più del fare. Una cosa che magari mi fa dubitare è il divieto numero 36: spengere un fuoco, seguito dal 37: accendere un fuoco. L’ordine è giusto? Non era meglio l’inverso? Uno non accende il fuoco così evita di spengerlo. Il casino è se lo trova acceso o c’è un incendio -la natura e la sorte sono spesso bizzarre e inosservanti- e non lo può spengere e la casa va a fuoco. Forse sarà Dio a provvedere? Speriamo. Il Dio degli ebrei è fatalista e ironico come il proprio perseguitato popolo. E, a proposito di perseguitati, spezzerei anche una lancia per il popolo palestinese. La discendenza è la stessa.

Durante lo Shabbat ci sono invece azioni vivamente incoraggiate: andare in Sinagoga, ospitare parenti -che per la verità mi sembra parecchio impegnativo con tutto l’antico rispetto per l’ospitalità- avere rapporti sessuali fra coniugi, ciò che penso possa valere anche per i conviventi, ancorché peccatori. Ed è obbligatorio recitare le preghiere rituali, studiare la Torah, consumare tre pasti completi, pane del Sabato e carne. Però astenersi da tutto e stare assorti, in silenzio, personalmente preferirei. Più sicuro. Perché, per chi non rispetta lo Shabbat, sono previste pene bibliche. E con le pene bibliche non si scherza -chiedete agli egizi- perciò meglio essere piuttosto zelanti che rischiare.

Il guaio delle religioni, se mi posso permettere da non credente, è che anche fra chi crede in un solo Dio e magari, gira gira, alla fine è lo stesso, ce ne fosse una che va d’accordo con l’altra! Sembra lo facciano apposta per confondere nostro Signore, che se esiste, nella sua infinita bontà ci supporta e ci sopporta pure. Gli ebrei rispettano il Sabato, i cristiani la Domenica e i musulmani osservano il Venerdì. È come nel PD, Dio non me ne voglia.

Avrete notato che scrivo i giorni della settimana con la lettera maiuscola. È un retaggio di scuola fascista. Non ho conosciuto il fascismo. Sono nato, per fortuna, dopo, ma nell’immediato dopoguerra e così me ne rimane un precetto grammaticale appreso alle elementari. E in fondo anche l’Italietta del ventennio aveva il Sabato fascista, che fu una conquista per il tempo. Venne istituito con regio decreto nel 1935 da Benito Mussolini, su indicazione di Achille Starace, scopiazzando la tradizione del sabato inglese, affibbiandogli però connotati marziali. Perché, per il resto, “Dio stramaledica gli inglesi”, ripeteva Mario Appelius alla radio. Tra l’altro il decreto intendeva regolamentare la vita cittadina anche la Domenica, giornata in cui era previsto si potessero indire "di regola soltanto manifestazioni culturali, sportive e ricreative", e lasciando "completamente libera" almeno una Domenica al mese.

Il Sabato fascista non partiva di primo mattino, interrompeva la giornata lavorativa alle ore tredici, in modo che il pomeriggio venisse dedicato ad "attività di carattere addestrativo prevalentemente pre-militare e post-militare, come ad altre di carattere politico, professionale, culturale e sportivo". Spesso, per gli studenti, erano previste prove atletiche per mantenersi in forma e dare sfoggio della propria abilità e prestanza fisica. Astenersi da queste attività poteva portare a ripercussioni da parte del regime. A volte più materiali delle pene bibliche. I ragazzi e i giovani, in camicia nera e divisa, inquadrati nelle organizzazioni giovanili fasciste -Opera Nazionale Balilla, Gioventù Italiana del Littorio, Gruppi Universitari Fascisti- dovevano seguire corsi di dottrina fascista e compiere esercizi ginnici, maneggiare il moschetto, lanciarsi attraverso cerchi di fuoco, fare volteggi. Le ragazze, in camicetta bianca e gonna nera, facevano roteare cerchi, clavette, bandiere e, leggiadre, si esibivano nella corsa e nel salto. Lo sport era organizzato dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano, istituito nel 1928. E, per inquadrare il tempo libero, c’era l’Opera Nazionale Dopolavoro.

Il Sabato dunque era un giorno di osservanza della mistica fascista. Tutto un riecheggiare di marce e di fanfare, adunate e giochi littori. Saggi ginnici e prove di ardimento per una maschia gioventù di italica razza ariana, mentre sui colli fatali di Roma tornava a riapparire l’Impero. Faccetta nera, bell’Abissina! A chi il Duce? A noi! Eia, eia, baccalà! Libro e moschetto fascista perfetto. Saluto romano e me ne frego. Marciare, non marcire. Una faticaccia! I risultati si son visti. No, meglio il Sabato ebraico e la sua ferma, silenziosa rivincita sull’orrore che seguì. “L’eternità indica un giorno. Shabbat”. E allora, dopo un buon Sabato, buona Domenica e buona fortuna.

Libero Venturi

Pontedera, 11 Novembre 2018

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“Eia, eia, baccalà”, parodia di “eia, eia, alalà”, il grido d’incitamento inventato da D’Annunzio, è un fumetto di Jacovitti il quale racconta: «Per non rimanere indietro col lavoro ho saltato qualche adunata del Sabato fascista. Insieme ad altri, i fascisti ci portarono in una stanza e ci picchiarono di santa ragione». Carlo Galeotti, "Eja, Eja, baccala!", intervista a Benito Jacovitti. “Tengo ‘na voglia, e fa’ niente” è un canzone di Enzo Del Re che non rappresenta certo lo spirito dello Shabbat. “L’eternità indica un giorno. Shabbat” è del filosofo Abraham Joshua Heschel.

Mario Appelius, giornalista, viaggiatore, scrittore, radiocronista, convinto fascista, fu tra i sostenitori pubblici dell’infame Manifesto della Razza. Era la sua voce a ripetere alla radio italiana il ridicolo motto: “Dio stramaledica gli Inglesi!” con riferimenti e frasi contro il “famoso” quanto inesistente complotto “demo-pluto-masso-giudaico”. Caduto in disgrazia e inviso al MinCulPop, il Ministero della Cultura Popolare, nonché allo stesso Mussolini, fu allontanato dal microfono. Dopo la fine della guerra venne processato per apologia del fascismo e condannato, ma, grazie all'amnistia di Togliatti, evitò la carcerazione.

Libero Venturi

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