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mercoledì 11 dicembre 2024

PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

Stato sociale

di Libero Venturi - domenica 15 aprile 2018 ore 07:15

Una mattina all'Agenzia delle Entrate. Sono andato in bici, per registrare un comodato. Era una bella mattina. I pullman oziavano sotto le pensiline della stazione. I ragazzi di vario colore sulle panchine. Gli alberi facevano ombra alla stele delle vittime delle Torri Gemelle, dimenticata in un parcheggio nel piazzale intitolato al Generale Dalla Chiesa. Il via vai dalla macelleria islamica sulla piazza, annunciava il week end. Nei call center della Wester Union si davano il cambio magrebini, nigeriani e senegalesi: telefonavano, inviavano sempre meno soldi a famiglie sempre più lontane e numerose. Una cooperativa assicurava il lavoro di servizio e di cura, così almeno annunciava la vetrofania: in prevalenza erano donne che entravano e uscivano dall’ufficio al piano terra, parlando lingue dure da capire. La botteghina smerciava pane sciocco e baguette e, più in là, il kebabbaro le sue specialità gastronomiche arabe e curde. Pensionati presidiavano e assediavano la sede del sindacato. Qualche giovane stazionava davanti alla sede di un’associazione popolare a larga base rappresentativa. Sono finito nel quartiere di Belleville, ho pensato, in un romanzo di Pennac, uno dei miei autori preferiti e io sono il signor Malaussène, di professione capro espiatorio. E chissà che, in qualche modo, non sia proprio vero.

Ho chiuso la bici legandola bene con la catena ad un palo segnaletico. Me ne hanno fregate già un paio. Perché i discorsi li porta sempre via il vento, le biciclette non si sa più chi, in questo mondo globale. Ma non andava meglio quando dice -malelingue di sicuro- che erano indigeni livornesi, ponsacchini o altre popolazioni autoctone. Sono entrato all’Agenzia delle Entrate. Che non fa una piega. Un cartello all’ufficio informazioni recitava: “La gentilezza vale più di cento sapienze”. Ti giraccia i coglioni! Mi sono detto. E mi è venuta a mente un’altra frase: "Quale saggezza puoi trovare che sia più grande della gentilezza" di Jean-Jacques Rousseau. Non che conosca Rousseau, la citazione l’avevo sentita da Alessandro Haber alla tivvù, in un episodio della serie del Commissario Montalbano, "Un covo di vipere", di Andrea Camilleri.

Poi per assonanza, impazienza e adesione ai luoghi comuni, diffuso sport nazionale, ho pensato che un covo di vipere doveva essere anche questo ambaradan di ufficio pubblico. Intanto origliavo una conversazione:

– Nico, che ci fai da queste parti?

– Son venuto per il mi' socero.

– Tutt'apposto?

– Tutt'apposto, ho da registrare un contratto, speriamo bene; che fila!

– Qui ce n'era uno bravo d'impiegati, ma ‘un si vede più...

L’ultima frase era morta così, con il tipico disincanto dei toscani. Ce n’era uno solo bravo, ma se n’è andato, è pensionato, l’hanno licenziato, è scomparso, è morto, è emigrato in Francia dove c’è tanto male e non se n’è saputo più niente. La fuga dei cervelli!

E sopratutto c’era un altro cartello con un sibillino avviso ai naviganti: “Se il tuo numero lampeggia devi andare allo sportello. Se il tuo numero è fisso sei allo sportello... oppure non ti sei presentato”. Grandioso! Un periodo ipotetico burocratese, espressione di un vero e proprio enigma esistenziale, tipico di una letteratura da burosauri, non privi, peraltro, di raffinato sense of humor. Ma che mattacchioni! In effetti ci deve essere gente veramente spiritosa nel settore comunicazione dell'Agenzia. Se avessi potuto interagire avrei probabilmente risposto con un messaggio, offensivo, ma a tono. Tipo: "Se scriveste meno cazzate sarebbe parecchio meglio... oppure non saremmo qui". Questo ho pensato, un po’ volgarmente, in un primo momento. Poi ho riflettuto più a fondo: un raro privilegio acquisito con l'età. Raro, perché uno dei pochi. Forse il solo. In realtà non volevano essere spiritosi o informali né, tantomeno, disinvolti. Il messaggio non intendeva non vi siete presentati, nel senso di non siete venuti all’Agenzia. Che in effetti, a ripensarci, se uno non fosse venuto come avrebbe potuto lampeggiare il suo numero? Probabilmente volevano dire: non vi siete presentati allo sportello. Cioè, siccome in questa sala d'aspetto si sta comodi, ci piace per abitudine fare la fila e, dato che siamo distratti, svagati nonché un po' rincoglioniti e pecoroni, non ci siamo accorti che il nostro numero lampeggiava e ce ne stiamo qui, tranquillamente seduti, per chissà quanto tempo ancora. Tanto è gratis.

Comunque sia è venuto il mio turno, il mio numero ha lampeggiato e sono accorso allo sportello, ovviamente prevenuto. Ma un’impiegata, assai gentile, ha controllato tutti gli incartamenti, mi ha spiegato una cosa complicata e difficile da capire -che, infatti, non ho capito limitandomi a registrare a memoria, fintantoché ne dispongo- su sovrattasse e marche da bollo di cui, naturalmente, ero sprovvisto. Però mi ha detto di andare al vicino tabacchino e di tornare subito. Avrebbe scorso la fila, ma mi avrebbe lasciato in sospeso e non sarebbe stato necessario per me prendere un nuovo numero lampeggiante e rimettermi in coda daccapo. Grande! Grazie. E così ho fatto. Ho ritrovato la bici incatenata al palo e, liberatala, sono andato a comprare le marche. Non è stato così semplice: prima sono dovuto passare da un bancomat per i contanti che avesse contanti, almeno le poche volte che li ho sul conto, e poi raggiungere un tabacchino in centro perché in quello vicino il rivenditore era momentaneamente assente. A volte è il privato carente e non il pubblico. Ma insomma tutto è andato a buon fine, sono tornato e ho regolarmente registrato il mio comodato. Dopodiché sono definitivamente “uscito” dall’Agenzia delle “entrate”, con animo sollevato e divertito per questa simpatica contraddizione in termini.

Avevo fatto presto. Anche se “presto” è un tempo e un concetto relativo, come tutto, dopo la legge sulla relatività. In ogni caso ho pensato bene di approfittarne e sono salito all'Inca Cgil. La Cgil è il sindacato. Inca non so per cosa stia. Forse è il prefisso di incapienti. Tutti noi, pensionati di questa fascia, più o meno lo siamo. E c’è a chi va peggio. Ho fatto la fila per un bel po’, ma chiudevano alle 12,30, mi pare, e c’erano ancora diverse persone. Volevo solo un’informazione, il responsabile però alle 12,30 mi ha detto, mi dispiace è ora di chiusura. Capisco, ho risposto. Ma ho pensato: dio bono, ti ghiaccia l’insalata? Però, in effetti ero arrivato tardi. Anche se pure “tardi” è un tempo e un concetto relativo come tutto, sempre in virtù della summenzionata legge. Ma il responsabile era un pensionato come me, magari un volontario, è comprensibile. Così sono uscito. Però, in precedenza, avevo telefonato all’Inca di Pisa, lasciando un messaggio e la funzionaria, brava, mi ha richiamato. Gli ho spiegato la situazione e mi ha suggerito di andare subito all’INPS che chiude più tardi, alle 13 credo. Ho detto, figurati se ce la faccio: all’INPS! No, vedrai, per quell’informazione fai a tempo, ha risposto dall’altro capo del cellulare.

Spronato “dall’ottimismo della volontà”, pur moderato dal “pessimismo della ragione”, ho inforcato la bici, soprattutto spinto da un senso di sfida per quella mission impossible. A parte il rinomato cocktail di ragione e volontà, ci vorrebbe anche “la fortuna del culo”, pensavo, pedalando con un rapporto da tappa a cronometro. Difatti alle 12,40, incatenata la bicicletta al cancello dell’INPS, ero già in sala d’aspetto con il mio bravo biglietto di cui una macchina di prenotazione, regolarmente digitata, aveva provveduto a dotarmi. C’era ancora tanta gente. Le lancette dell’orologio alla parete scandivano, inesorabili, il precipitare del tempo verso l’ora di chiusura. Alle 12,50 chiamano il mio numero! Incredulo, sono andato allo sportello. Sono appena arrivato, prima di me ci sono tante altre persone, ho detto imbarazzato. Non si preoccupi, mi ha risposto, cortese, ma risoluto, l’impiegato, evidentemente le altre persone sono qui per altri motivi, dica. Detto fatto: ho avuto l’informazione che desideravo e alle 12,55 ero già fuori, davanti alla bici, ancora solidale alla cancellata, con cui -riferito alla bici, non già alla cancellata, l’italiano, specie se si scrive male, è una lingua che può dare adito a fraintendimenti- ho preso la via del ritorno. E ho pensato: però, lo stato sociale! Il welfare, il benessere, come dicono, più ottimisti, gli inglesi. Non sarebbe così in cattivo stato. Per quel che tocca ed a chi. Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, 15 Aprile 2018

Libero Venturi

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