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PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

DIZIONARIO MINIMO: La demagogia

di Libero Venturi - domenica 18 marzo 2018 ore 07:00

Per spiegare il termine “demagogia”, in questo dizionario minimo di pensieri domenicali alla rinfusa, mi sono limitato a fare un copia incolla da diversi vocabolari ed enciclopedie, reperiti in rete. Vediamo le definizioni.

Demagogia, termine di origine greca, composto di demos, “popolo”, e aghein, “trascinare”, che indica un comportamento politico che, attraverso false promesse, vicine ai desideri del popolo, mira ad accaparrarsi il suo favore a fini politici o per il raggiungimento e la conservazione del potere.

Degenerazione della democrazia, per la quale al normale dibattito politico si sostituisce una propaganda esclusivamente lusingatrice delle aspirazioni economiche e sociali delle masse, allo scopo di mantenere o conquistare il potere. Dal greco dēmagōgía, derivazione di dēmagōgós, “capopopolo”.

Degenerazione del concetto di democrazia, in cui si ricerca il consenso delle masse popolari puntando sull'emotività, i pregiudizi e le suggestioni, piuttosto che sulla razionalità delle soluzioni.

Pratica politica finalizzata alla pura ricerca del consenso, attraverso promesse non realizzabili o la soddisfazione di minimi bisogni immediati, spacciati per decisivi: fare della demagogia, è detto in tono dispregiativo.

Dall’Enciclopedia Treccani. Demagogia, in origine, genericamente, arte di guidare il popolo; in seguito, già presso gli antichi greci, la pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili. Nella storia del pensiero politico il termine risale alla tipologia aristotelica delle forme di governo, nella quale rappresenta un aspetto degenerativo o corrotto della politèia - della res publica - per cui si instaura un governo dispotico delle classi inferiori dominato dai demagoghi, che sono definiti da Aristotele “adulatori del popolo”.

Da Wikipedia. Lo storico Tucidide definiva “demagoghi”, capi popolo, tutti gli ateniesi che, in seguito alla morte per peste di Pericle nel 429 a.C., cercavano di prendere il suo posto ingannando e seducendo l'assemblea popolare ateniese, tramite false promesse e forme d’istigazione contro gli avversari politici.

Spesso il demagogo fa leva su sentimenti irrazionali e bisogni sociali latenti, alimentando la paura, l’odio o la rabbia nei confronti dell'avversario politico o di minoranze utilizzate come “capro espiatorio” (Elias Canetti, “Massa e Potere”) e come “nemico pubblico”, utili alla formazione di un fronte comune, uniformato temporaneamente dalla medesima lotta e dunque scevro di dissenso interno.

Nella casistica dei mezzi demagogici, vengono indicati anche l'utilizzo di un linguaggio politico derisorio verso gli avversari o caratterizzato da una vistosa enfatizzazione degli effetti negativi delle loro politiche.

“Il fattore demagogico è dunque parte del populismo, in quanto il suo strumento è la costruzione ideologica del consenso”. (Nadia Urbinati, “Democrazia sfigurata: il popolo tra opinione e verità”) Eppure, il rapporto di influenza può essere biunivoco, cioè anche dal basso verso l'alto, alterando la stessa stabilità del processo decisionale e la capacità di leadership: spesso “si decide, basandosi su un algoritmo costruito per intercettare il consenso espresso dagli umori di quel momento. Dell’ultimo momento”. (Fabio Martini, “I pericoli della politica last minute”, La Stampa 08/06/2017)

Ne “I promessi sposi” è un demagogo il personaggio di Antonio Ferrer, gran cancelliere di Milano, acclamato dal popolo per aver dimezzato il prezzo del pane con effetti immediati positivi -tutti avevano il pane- ma con effetti a lungo termine disastrosi: la farina scarseggiò sempre di più, finché i popolani, affamati, assaltarono un forno. Episodio descritto da Alessandro Manzoni, basandosi su un fatto realmente accaduto.

Un noto comico genovese ha recentemente postato: “La nostra era è senza precedenti proprio per la sovrabbondanza di merci e servizi...abbiamo una capacità produttiva che è di gran lunga superiore alle nostre necessità...il lavoro retribuito, e cioè legato alla produzione di qualcosa, non è più necessario... si deve garantire a tutti lo stesso livello di partenza: un reddito, per diritto di nascita. Soltanto così la società metterà al centro l’uomo e non il mercato”. I riferimenti sono dal più complesso “Società senza lavoro: per una nuova filosofia dell’occupazione”, titolo originale “Le Travail, une valeur en voie de disparition”, 1995 di Dominique Méda, teorica francese aderente all’utopia o alla distopia della decrescita. Dipende dai punti di vista. Bisognerà cambiare l’articolo uno della Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul reddito per diritto di nascita. La sovranità appartiene al popolo e basta”.

Bene, anzi male. Si sono da poco svolte le elezioni politiche che costituiscono lo strumento basilare della democrazia: secondo il principio una testa un voto, gli elettori, a suffragio universale, eleggono liberamente gli esponenti a cui conferiscono delega di rappresentanza. Ciò vale per tutti i sistemi democratici e anche per la nostra Repubblica parlamentare che, oltretutto, per una ridondanza democratica e diversamente dalle altre democrazie occidentali, è costituita da un bicameralismo perfetto. Cioè con due rami del Parlamento, Camera e Senato, entrambi specularmente coinvolti per l’emanazione delle leggi. Ciò di cui gli elettori, nonostante si lamentino continuamente del peso e del costo eccessivo della politica, nonché della lentezza legislativa, hanno ribadito la validità nel recente referendum istituzionale. Peccato.

Le volontà popolari si rispettano, come i problemi relativi alle condizioni economiche e sociali, al lavoro, ai temi della solidarietà e sicurezza riguardanti la popolazione, ma del populismo è lecito diffidare, perfino giusto. Ancor di più si rispetta la democrazia, il voto degli elettori che quelle problematiche esprime, ma dalla demagogia è sacrosanto prendere le distanze, perfino utile. Non ricordo più quale dirigente politico in un pubblico dibattito locale, fu presentato dal segretario del partito, non dirò quale, come “uno dei migliori demagoghi d’Italia”. E invece ricordo che tanti anni fa un sindaco delle nostre parti a cui fu comunicata dal ragioniere capo del Comune l’insorgenza di un “deficit” per la spesa sociale, affermò soddisfatto: “bene, spendiamo anche quello!”. Di tutto si può discutere. Un “complicato” filosofo come Ludwig Wittgenstein nel “Tractatus logico-philosophicus” ammetteva che “quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Al di là dei meandri della logica, in democrazia si confida che si possa dire chiaro quanto più può dirsi e che si possa consapevolmente parlare e non tacere.

Allora, le definizioni di “demagogia” sopra riportate, vi ricordano qualcosa? Vi sembra che abbiano qualche attinenza con il dibattito politico odierno? Che si possano riferire alla recente campagna elettorale? E più fra i vinti o fra i vincitori? Buona Domenica.

Pontedera, 18 Marzo 2018

Libero Venturi

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