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PENSIERI DELLA DOMENICA — il Blog di Libero Venturi

Libero Venturi

Libero Venturi è un pensionato del pubblico impiego, con trascorsi istituzionali, che non ha trovato niente di meglio che mettersi a scrivere anche lui, infoltendo la fitta schiera degli scrittori -o sedicenti tali- a scapito di quella, sparuta, dei lettori. Toscano, valderopiteco e pontederese, cerca in qualche modo, anche se inutilmente, di ingannare il cazzo di tempo che sembra non passare mai, ma alla fine manca, nonché la vita, gli altri e, in fondo, anche se stesso.

​Linguaggio giovanile

di Libero Venturi - domenica 14 luglio 2019 ore 08:50

Una lingua non è mai data una volta per tutte, sennò sarebbe morta. Una lingua vivente appartiene alla comunità parlante che la modifica nel corso del tempo adattandola alle proprie convenzioni, alla situazione storica e al percorso evolutivo. I giovani, ad esempio, hanno un loro linguaggio particolare per comprendersi, fatto di abbreviazioni e rafforzativi oppure derivato dagli strumenti della comunicazione informatica che usano con particolare e fin troppo assidua predilezione.

Ormai fanno parte della lingua italiana e si coniugano verbi come «googlare», cercare in rete qualcosa: esce l’ultima puntata del Trono di Spade, l’ho googlato ieri. E «spoilerare»: anticipare qualcosa, rivelare la trama di un film ad esempio. Viene dall’inglese “to spoil”, rovinare e, in genere, si usa come raccomandazione in negativo: non mi spoilerare la storia. Si dice anche «chattare» -in inglese “chiacchierata”- per dire “parlare in rete chattando”, appunto, cioè trasmettendo delle chat, vale a dire dei messaggi. Le chat stanno soppiantando gli sms con l’errato convincimento che siano gratis. Per le chat si usa prevalentemente la app WhatsApp, abbreviato WA, che ha dato origine al verbo «whatsappare»: ti ho whatsappato il testo e la foto.

Tra l’altro, a mio avviso, WA è responsabile di una palese violazione della privacy. Infatti non si capisce perché il programma debba far sapere alla comunità dei «whatsappari”» -o «whatsappatori»?- che sei on line e stai scrivendo. Così creando o tradendo aspettative, ovvero delusioni, circa un’eventuale risposta. Infatti WhatsApp è un sistema ansiogeno. Ma nessuno lo dice, forse proprio perché sembra gratis, come se stare in rete connessi non costasse nulla. Tutto ciò non solo ha un costo, ma si paga contraendo una sindrome da eccesso di connessione che dà apprensione a tutti e crea una sorta di superfetazione virtuale dell’esistenza. Che già una basta e avanza. Ma forse è proprio questo il problema: che una sola esistenza al giorno d’oggi, nonostante sia difficile di suo, non basta più. Una bella pretesa.

Nelle chat si usano linguaggi brevi e veloci. Si scrive «prefe» per dire “preferito” e, manco a dirlo, «raga» per il più lungo “ragazzi”. E il tutto si trasferisce nel parlato: «raga, Ultimo è il mio prefe», per far sapere agli amici che il cantante Ultimo è il primo in ordine alla propria preferenza. A volte quando si dice il destino nel nome... Mentre «tranqui» è l’abbreviativo rassicurante di “tranquillo”.

Per esprimere entusiasmo o sorpresa si esclama «volo!» che spesso è usato insieme a «sipario!» quando si intende manifestare il massimo dell’approvazione. Albano e Romina secondo la mia generazione potrebbero semplicemente rimettersi insieme, i giovani invece «shippano» Belen e Stefano, cioè sperano che si ricongiungano, come pare infatti avvenuto. E speriamo che duri, stavolta. “Ship”, da frendship, partnership, eccetera, la desinenza internazionale delle relazioni.

In questo linguaggio non c’è posto per le maiuscole e la punteggiatura. Soprattutto le virgole sono bandite, abolite, soppresse, in quanto retaggio di una scrittura arcaica, lenta e superata. Poi ci sono inevitabilmente e per contrappunto i rafforzativi-superlativi: non si scrive né si dice «ho molta fame» oppure «ho parecchio sonno», meglio ripetere il sostantivo: «ho fame fame» e «ho sonno sonno». Senza virgola, preferibilmente.

E ci sono, inevitabilmente, le parolacce. Una di queste, derivata, chissà perché, dalla parlata romanesca e che ha in qualche modo a che fare con il rafforzamento del concetto, è “merda”. Che si pronuncia «mmerda» non con una “emme” sola, ma con due o più “emme”. Con tutti gli annessi e connessi: «pezzo di mmerda», ad esempio, per dire di una persona che è “merda merda”, tanto per rimanere in linea.

E poi, sempre in tema, un’espressione brutta brutta, veramente pessima, è : «fa stronzo ca’a’» che chissà da cosa deriva, ma rende l’idea. Anche troppo. Non c’entra niente, ma per la costruzione circolare della frase, con i verbi all’inizio e alla fine, a me ricorda l’aggraziato vernacolo lucchese: “bada bellino bambino è” oppure “senti motore casino fa”.

Prendere per il... sedere diventa «perculare», più diretto e sintetico: «mi stai a percula’?». Ai giovani d’oggi inoltre non girano tanto le palle che, essendo palle, avrebbero potuto anche girare. No, a loro gira direttamente e soprattutto il cazzo. «Mi gira il cazzo», che non si capisce, come potrebbe girare, ma dicono così e lo dicono ambo sessi.

Quindi linguaggio unisex, disinibito, volgare, veloce, tecnologico, ma anche figurativo che, come si abbrevia, ritrova pure le sue diverse lunghezze di onda e di sintassi. Valli a capire ‘sti giovani. Come “petaloso”, il famoso neologismo inventato da uno scolaro. L’importante è non restare senza parole, senza capacità di descrivere ed esprimersi, fuggire “l’analfabetismo esistenziale”, sapere ancora ridere, piangere, raccontarsi e raccontare storie. Chissà cosa penserà di tutto ciò la Crusca? E quante volte avrebbe brandito la sua “Frusta Letteraria” Aristarco Scannabue, il “ribelle conservatore” Giuseppe Baretti! Ma forse per tramandare una tradizione si deve un po’ tradurla e un po’ tradirla. Buona domenica e buona fortuna.

Pontedera, 14 Luglio 2019

Libero Venturi

Articoli dal Blog “Pensieri della domenica” di Libero Venturi