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mercoledì 06 novembre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​Psicologi di Stato e autoritarismo di Stato

di Adolfo Santoro - sabato 16 settembre 2023 ore 08:00

Il servilismo è la caratteristica degli italiani che s’atteggiano ad essere forti, ma solo con i deboli, mentre si dichiarano “pronti” ad affrontare i problemi reali, ma nei fatti dimostrano solo propaganda. Anche i Dirigenti dell’Ordine Nazionale degli Psicologi si sono adeguati a questa caratteristica: il loro Consiglio ha approvato, all’unanimità (!), una proposta di modifica che del Codice Deontologico, che farebbe rivoltare nella tomba Franco Basaglia. Fortunatamente non tutti gli psicologi in Italia sono come questi Dirigenti di Stato, per cui la loro critica si sta coagulando in un “NO” da esprimere nel Referendum di approvazione della proposta di tali modifiche.

In https://www.ilnocheunisce.it/wp-content/uploads/2023/09/perplessita-su-modifiche-CD-4.pdf gli psicologi “ribelli” fanno notare che, come si addice ai regimi a democraticità limitata, la campagna informativa dell’Ordine è stata debole e che il referendum, strutturato in modo che si possa dire “SI’” o “NO” alla proposta di regime, non permette il confronto sulla modifica di ogni singolo articolo: prendere o lasciare, insomma! Gli psicologi “ribelli” esprimono perplessità sia nella “premessa etica” (!), sia in diversi articoli. Ecco qualche esempio. L’articolo 4 elude l’obbligo dello psicologo a rispettare “la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni” a favore di fumose affermazioni espresse nella “premessa etica”. L’articolo 22 ingabbia la relazione terapeutica in rigidi protocolli predefiniti. L’articolo 24 prevede che non venga più chiesto il consenso dei genitori in ambiti non sanitari; l’articolo 31 tratta lo stesso argomento nei casi di persone minorenni o incapaci. Questa proposta dei Dirigenti dell’Ordine, dunque, millanta modifiche formali, ma, in realtà, propone una fumosità sostanziale … Un documento all’italiana, insomma!

La stessa fumosità, d’altra parte, la si può osservare a livello nazionale, dove il non-Governo della famiglia dei “pochi eletti” mostra i muscoli, ma non affronta la complessità del reale. A Caivano, ad esempio, dove la passeggiata del “blitz” elettorale ha avuto come esito il sequestro di qualche cerbottana: chi doveva nascondere qualcosa l’ha potuto fare tranquillamente perché avvertito per tempo dagli strombazzamenti del governo; dopo la “bonifica” della Meloni, i mitra dei Signori che si contendono il comando nello spaccio della droga a Caivano hanno mostrato per quattro volte chi comanda a Caivano. E, magari, quei mitra derivavano dal contingente di armi inviati dall’Italia in Ucraina, rivenduto al mercato nero dai democratici e incorruttibili ucraini.

Il non-Governo dei reali problemi si dimostra in tanti altri esempi: strombazzare il “blocco navale” o inseguire gli scafisti in tutto il globo terracqueo non è disciplinare il flusso migratorio che, di fatto, ha raggiunto record d’indisciplina. Inviare armi all’Ucraina non è fare il bene né dell’Ucraina, né della “patria” italiana.

Ma il non-Governo della famiglia dei “pochi eletti” reitera anche con la legge sul processo minorile, che tranquillizza nell’immediato i ben-pensanti senza affrontare la precarietà dei minori. Lo dice Gian Carlo Caselli, che di legge se ne intende: egli fa notare che l’obiettivo del legislatore non dovrebbe essere quello della detenzione dei minori, perché le carceri sono scuole di delinquenza, ma quello di far uscire il minore quanto più presto possibile dal circuito penale; favorire lo stazionamento negli istituti di pena consolida, infatti, l’identità negativa di chi è ancora in via di formazione! Il Giudice minorile ha, attualmente, la possibilità di decidere di favorire, nei casi che meritano, un percorso riabilitativo attraverso una serie di strumenti: può “mettere alla prova” il minore sospendendo il processo al fine di organizzare la valutazione, l’osservazione, il trattamento e il sostegno del minore, che, al contempo, deve impegnarsi in attività socialmente utili; può prosciogliere l’imputato per immaturità o per irrilevanza o tenuità del fatto o per perdono giudiziale (una sola volta e in casi particolari); se lo condanna, può sospendere la pena a condizione di buon comportamento; può prendere misure cautelari ben calibrate affidando il minore ai servizi sociali e può destinarlo ad uno specifico istituto minorile, dove la componente educativa prevalga sulla vigilanza. La carenza non è dunque legislativa, ma è nella disponibilità numerica di personale della riabilitazione ben formato e nella disponibilità (numerica e formativa) di istituti riabilitativi. Il non-Governo non ha, dunque, la visione della complessità per governare le vie della droga, che esprimono anzi tutto l’abbrutimento della “società civile”!

Ogni “malattia” è, anzi tutto, “malattia del contesto” in cui si sviluppa la malattia: il diabete 2 non avrebbe bisogno dei miliardi di euro in farmaci che uno Stato inetto continua a spendere, ma avrebbe bisogno di cittadini non dipendenti dalla “droga-cibo” e dalla “droga-inerzia”. E la stessa cosa vale per le morti sul lavoro o per altre “malattie” apparentemente irrisolvibili, come il cancro. Manca il rispetto per la Vita!

Ogni iniziativa legislativa deve essere partorita dalla visione della complessità, che si occupi contestualmente della prevenzione della povertà, dell’emarginazione, delle conseguenze del liberismo sfrenato. E forse questa è la maggiore carenza dell’Italia dagli anni ’70 a questa parte: se “intelligenza” vuol dire “saper comprendere” e, quindi, saper rispondere”, l’intelligenza italiana è andata progressivamente scemando.

Nel caso del problema della “degenerazione delle periferie” “saper comprendere” significa anche dirigere l’attenzione a quelle situazioni in cui questo problema da gigantesco è diventato risolvibile. È il caso della Colombia e del suo attuale presidente, Gustavo Petro (che, tra l’altro, ha anche la cittadinanza italiana). Il suo impegno politico iniziò dal colpo di Stato del 1973 in Cile e dalla lettura di Garcia Marquez. A 17 anni si unì al Movimento 19 Aprile (M-19), un gruppo guerrigliero, ispirato a Simon Bolivar, ad orientamento socialista e democratico. Arrestato dall’esercito nel 1985, fu torturato e imprigionato. Nel 1990 fu firmato un accordo di pace tra il governo e diversi guerriglieri, tra cui quelli di M-19. Dal 1994 fu costretto a quattro anni di esilio dopo l’intercettazione di comunicazioni radio in cui il capo dell’ufficio del Procuratore Generale chiese ad un comandante paramilitare di ucciderlo. Fu deputato e senatore; come parlamentare, denunciò la “parapolitica”, cioè le relazioni tra i membri eletti della maggioranza presidenziale e le milizie paramilitari che li aiutavano a farsi rieleggere sbarazzandosi degli avversari … quello che in Italia è stato il connubio tra destra eversiva ed autoritaria, servizi segreti e massoneria! Dopo alcuni tentativi di diventare Presidente della Repubblica Petro è stato eletto nell’agosto dello scorso anno.

Nel suo discorso alla sessione plenaria dell’ONU, Petro ha chiesto di porre fine alla guerra alla droga: la militarizzazione contro la coltivazione della coca si è dimostrata fallimentare, “irrazionale”. Gli anelli più deboli della catena (i coltivatori di coca) non vanno criminalizzati, ma gli sforzi vanno diretti a colpire le organizzazioni criminali che traggono profitto dal traffico di droga e a fare una politica di sostituzione volontaria delle coltivazioni attraverso il dialogo con le comunità contadine e la risoluzione delle questioni di diritti umani e salute pubblica. Diventava cioè cruciale la politica di inclusione delle comunità sistematicamente emarginate, in particolare delle donne, dei contadini, delle comunità indigene e degli afro-colombiani.

Alla chiusura della Conferenza Latinoamericana e dei Caraibi sulla Droga, Petro ha presentato gli otto assi della nuova politica della Colombia sulla droga, che prevedono un “Modello di intervento globale per il transito verso le economie legali”: (1) tutela ambientale dei territori colpiti dall’economia illecita della droga promuovendo azioni come la gestione sostenibile delle foreste e l’economia rigenerativa; (2) azioni strategiche volte a prevenire il collegamento delle popolazioni vulnerabili alle economie della droga; (3) promozione di misure sanzionatorie differenziate per le persone vulnerabili nei contesti urbani che hanno commesso reati legati alla droga; (4) misure di prevenzione del consumo di sostanze psicoattive, soprattutto nei bambini, oltre a strategie assistenziali per i tossicodipendenti; (5) smantellamento dei laboratori, del riciclaggio di “danaro sporco” e della corruzione; (6) regolamentazione degli usi legali della pianta di coca; (7) trasformazione dell’immaginario sulla droga; (8) nuovi confronti planetari sul problema-droga e revisione del quadro giuridico internazionale al riguardo.

Ma questa visione è l’esito di un processo iniziato già dai primi anni ’90 con la trasformazione di Medellin, la città colombiana che fino ad allora era stata il simbolo dei “cartelli della droga” senza che i carri armati governativi scalfissero il fenomeno. La violenza a Medellin è diminuita, in vent’anni, di cinque volte grazie alla strutturazione di scuole, biblioteche (con auditorium, laboratori, sale giochi, impianti sportivi, aule informatiche, offerta di programmi di alfabetizzazione, assistenza nella mediazione dei conflitti, aiuti per le richieste di sussidi governativi), centri sociali, una rete di funivie per collegare il centro con le baraccopoli sulle colline che circondano la città. Questi servizi sono portati direttamente nei quartieri da assistenti sociali, riducendo così la distanza burocratica tra l’amministrazione comunale e i cittadini.

Il cambiamento richiede, dunque, politiche inclusive e operatori attenti alla responsabilizzazione dell’assistito … insomma a Medellin non ci sarebbe spazio per i Dirigenti dell’Ordine Nazionale degli Psicologi e nell’attuale Colombia non ci sarebbe spazio per i nostrani non-Governanti.

Adolfo Santoro

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