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sabato 09 novembre 2024

DISINCANTATO — il Blog di Adolfo Santoro

Adolfo Santoro

Vivo all’Elba ed ho lavorato per più di 40 anni come psichiatra; dal 1991 al 2017 sono stato primario e dirigente di secondo livello. Dal 2017 sono in pensione e ho continuato a ricevere persone in crisi alla ricerca della propria autenticità. Ho tenuto numerosi gruppi ed ho preso in carico individualmente e con la famiglia persone anche con problematiche psicosomatiche (cancro, malattie autoimmuni, allergie, cefalee, ipertensione arteriosa, fibromialgia) o con problematiche nevrotiche o psicotiche. Da anni ascolto le persone in crisi gratuitamente perché ritengo che c’è un limite all’avidità.

​La storia ancestrale e la primissima relazione con la madre

di Adolfo Santoro - sabato 14 gennaio 2023 ore 09:00

Abbiamo descritto come gli eventi della vita, comprese le malattie, possano essere descritti in modo riduttivo o in modo complesso. La modalità con cui descriviamo il mondo dipendono dalle nostre credenze e Sigmund Freud non ha fatto eccezione. Anzi, da buon ostinato narcisista, era fortemente adeso a queste credenze, che finirono per essere per lui mortali. La credenza della “bontà” dei sigari si riconnetteva in lui al coinvolgimento “orale” con la propria madre, quel principio femminile, di cui Freud confessava candidamente la propria ignoranza.

All’interno dell’ottica della complessità comincio ad approfondire il rapporto di Sigmund con la memoria transgenerazionale e con la “memoria pre-edipica”, che riguarda il rapporto non verbale con la madre.

La madre di Sigmund, Amalia Malka Nathanson (a volte chiamata Amalie), era nata nel 1835 a Brody, piccola città della Galizia, regione dell’Ucraina occidentale. Era figlia di Jacob Nathanson, un agente commerciale ebreo di Vienna, e di Sara. Amalia era poi cresciuta ad Odessa e, a 19 anni, giunse a Vienna, dove immediatamente conobbe e sposò Jacob Freud, di venti anni più anziano. Alcune autrici femministe suggeriscono che sia stata "venduta" a Jacob Freud come punizione per una storia d'amore romantica che la sua famiglia disapprovava o che Amalia fosse stata ingravidata da un precedente amante.

Il calendario ebraico rende la data di nascita di Amelia alquanto incerta, come disse una volta Freud a Wilhelm Fliess, ma fu celebrata lo stesso giorno della nascita dell'imperatore d'Austria, Francesco Giuseppe, e la festa nazionale annuale ne fece l'occasione per divertenti battute familiari. Civettuola da giovane (le piacevano le feste e le carte), Amalia divenne difficile man mano che cresceva. Suo nipote Martin Freud la descriveva come una tipica donna ebrea galiziana, con una “grande vitalità e molta impazienza; aveva fame di vita e uno spirito indomito”, ma anche come “tirannica, egoista, soggetta a sbalzi d’umore e a sfoghi emotivi”.

Jacob Freud era al suo terzo matrimonio ed aveva già due figli: Emanuel, che era più anziano di Amalia ed aveva già un figlio (John), e Philipp, coetaneo di Amalia. Si sposarono in una sinagoga di Vienna nel 1855. Il matrimonio fu preceduto da due lutti: quello per la morte di Jacob, padre di Amalia, e di Julius, fratello di Amalia. La coppia lasciò Vienna, una metropoli europea, per Freiberg, una città di provincia della Moravia (che ora fa parte della Repubblica ceca), dove Jacob svolgeva un infruttuoso commercio di lana.

Come mai i Freud capitarono in Moravia?

Gli ascendenti del ramo paterno, probabilmente vissero a Colonia, emigrarono verso est nel XIV o XV secolo a causa di persecuzioni ebraiche e solo nel XIX secolo tornarono dalla Lituania in Galizia. Nel 1844 lo zio materno di Jacob Freud decise di prendere come aiutante il nipote di ventinove anni: Jacob fino ad allora era vissuto a Tysminenica, in Galizia. Lo zio comprava stoffe di lana a Freiberg e dintorni, le faceva tingere e apprettare, poi le inviava in Galizia, da dove importava prodotti regionali, per importarli a Freiberg. Sappiamo tutto ciò perché il vecchio mercante, quell’anno, fece domanda alle autorità per ottenere la residenza a Freiberg per sé e per il nipote Jacob. La richiesta, su approvazione della corporazione fabbricanti di stoffe, fu accolta. Sappiamo da altri documenti che Jacob era figlio di Salomon Freud, anche lui mercante, e di Pepi Hoffman. Tutta la famiglia Freud era residente a Tysmienica e qui infatti rimase la prima moglie di Jacob, Saly Kanner, quando Jacob decise di seguire lo zio.

Freiberg non era una meta definitiva: infatti, dai documenti di viaggio, sappiamo che Jacob e lo zio si spostavano continuamente verso la Galizia, Dresda, Budapest e Vienna per commerciare i loro prodotti. Nel 1848 la città di Freiberg decise di imporre una tassa ai commercianti ebrei lì residenti. Da un censimento sappiamo che lo zio e Jacob erano conosciuti come persone per bene e che il fatto che facessero questi commerci era considerato di grande vantaggio per la popolazione di Freiberg.

Gli ebrei in Moravia prima del 1848 erano emarginati: erano privi di cittadinanza ed erano costretti a vivere nei ghetti. Con la rivoluzione del 1848 aumentarono le ritorsioni anche verso gli ebrei, ma a partire dal 1852 le cose migliorarono e anche la popolazione ebraica ottenne qualche concessione, soprattutto maggiore libertà nella scelta della residenza. Da alcuni documenti sappiamo che gli affari per Jacob andarono molto bene nel 1852, anno in cui la sua seconda moglie Rebecca andò ad abitare con lui a Freiberg con i due figli della prima moglie: Emanuel, di 21 anni e Philipp, di 16 (entrambi poi emigrarono in Inghilterra). Ma anche la seconda moglie di Jacob, morì giovane (tra il 1852 ed il 1855), per cui Jacob si risposò nel 1855, a Vienna, con Amalia.

In casa si parlava tedesco. Erano ebrei, ma non ortodossi, anche se i genitori lasciarono che i figli ricevessero un’educazione religiosa. La casa di Freiberg apparteneva a Zajic, un costruttore di serrature: c’erano due stanze al pian terreno per l’officina e due stanze al piano superiore, una per la famiglia del padrone di casa ed una per la famiglia di Jacob e Amalia. Emanuel Freud e la moglie vivevano in un’altra casa e avevano al loro servizio, come cameriera, Monica Zajic, che doveva badare sia ai figli di Emanuel (John, maggiore di Sigmund di un anno), sia a quelli di Jacob. Forse fu Monica la bambinaia cui fa riferimento Freud nei suoi scritti.

La coppia Freud ebbe otto figli, ma solo i primi tre nacquero a Freiberg (gli altri nacquero a Vienna, dove la famiglia si trasferì, dopo un breve soggiorno a Lipsia, nel 1860):

1) Sigismund Schlomo (“Schlomo” è la forma ebraica di Salomone, che ha in sé l’etimo “shalom”, “pace”; a diciannove anni cominciò a firmarsi Sigmund, alla tedesca, per attenuare l’ostilità antiebraica del contesto), in memoria del nonno paterno, morto poche settimane prima;

2) Julius, nato ad un anno di distanza e morto a sei mesi (da notare che il fratello minore di Amalia, Julius, era morto a sua volta di tubercolosi poco prima del matrimonio di Amalia; Freud scriverà in seguito a Fliess che la morte di suo fratello “ha lasciato in me il germe degli (auto)-rimproveri”);

3) Anna.

Freud ha raramente rivisitato i suoi primi tre anni, il "periodo preistorico della vita", come lo chiamava. Per Ernest Jones "nei primi anni di Freud c'erano stati motivi estremamente forti per nascondere alcune fasi importanti del suo sviluppo, forse anche a se stesso". Ne ”L'interpretazione dei sogni” Freud scrive: “la madre che dà la vita e inoltre (come nel mio caso) dà all'essere vivente il suo primo nutrimento. Amore e fame, penso, si incontrano al seno di una donna”; Amalia era forse oberata dal dover partorire un figlio all’anno ed in condizione di povertà, tanto che la suzione autoerotica di Sigmund sopperiva all’incostante rapporto con la madre? Probabilmente per compensare un profondo senso di disperazione, Amalia mostrava un’ammirazione sconfinata per Sigismund, “mein goldener Sigi, Sigi, mein Gold” (“il mio Sigi d’oro, Sigi, il mio oro”). Sigi nacque “in caul”, “con la camicia”, cioè con parte della membrana amniotica sulla testa, ed a livello popolare si credeva che questo fosse un segno di buon auspicio. Amalia ci credeva e conservava ricordi che rafforzavano la sua convinzione, anche perché questa convinzione fu rafforzata dall’incontro di una vecchia donna in una pasticceria, che profetizzò un grande avvenire per Sigi. La sorella di Sigi, Anna, scriveva: “Mia madre sperava grandi cose per il suo primogenito, e faceva tesoro dei primi fatti che davano concretezza alle sue speranze… Forse la fiducia di mia madre nel futuro destino di Sigmund ha giocato un ruolo determinante nella tendenza data a tutta la sua vita”. Freud ne “L'interpretazione dei sogni”, senza riconoscere l’aspirazione della madre alla gloria di Sigi, si chiede: "Potrebbe essere stata questa la fonte della mia sete di grandezza?". Lo psicoanalista Siegfried Bernfeld scrisse nel 1940: “Divenne una delle storie di famiglia costantemente ripetute, una parte dell’atmosfera in cui il bambino cresceva. Così l’abito dell’eroe era nella tessitura, proprio nella culla”. Freud riconosceva invece questi tratti narcisistici nelle sue analisi di grandi uomini: ad esempio di Goethe scrisse: “Se un uomo è stato il beniamino indiscusso di sua madre, conserva per tutta la vita il sentimento di trionfo, la fiducia nel successo, che non di rado porta con sé il successo. E Goethe avrebbe potuto benissimo dare un titolo alla sua autobiografia come “La mia forza ha le sue radici nella mia relazione con mia madre”.”.

Vedremo la prossima settimana le implicazioni di questa storia ancestrale di Freud.

(continua)

Adolfo Santoro

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